Il signor Salmi stava andando a fare la spesa. Trofarello. Che volete che sia? Fino a ieri mattina, presto, all’incirca le otto, un posto come mille altri, accaldato, svuotato per le ferie dei suoi abitanti. L’ingegner Farina stava andando in fabbrica. Come sempre. A cavallo del suo vespone grigio.
È finita così la sua storia, oggi si scrive, si parla, si ricorda, si piange di un giorno strano e maledetto, di un paese appena fuori Torino, di un pensionato sconvolto, di una famiglia lacerata, di un imprenditore scomparso. Andrea Farina, aveva quattro anni quando il presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi, decise di concedere alla sua famiglia, su proposta dell’allora ministro guardasigilli Guido Gonella, la variazione del cognome da Farina in Pininfarina, per le benemerenze sociali e industriali che facevano capo al nonno Battista, detto Pinin, in piemunteis starebbe, in verità, per Giuseppe.
Per chi è cresciuto a Torino, negli anni belli, i Pininfarina venivano catalogati alla voce carrozzieri, secondo lessico perfido dell’Avvocato Agnelli che definiva i Benetton «quelli che fanno le maglie». Carrozzieri si fa per dire, tanto è che Andrea era il grande rappresentante della terza generazione dei Farina, presidente e amministratore delegato dell’azienda, laureatosi al Poli (tecnico) di Torino, la gabbia feroce dei cervelli, emigrato nelle Americhe, a studiare i rimorchi degli autocarri, rientrato in Italia, tra corso Trapani e Cambiano, la fabbrica di casa, per crescere e migliorare al punto che suo padre, il senatore Sergio del quale aveva ogni tratto somatico, quasi una copia fotostatica, suo padre, dicevo, intuì che tra Lorenza, Paolo e Andrea quest’ultimo avesse il «profilo» e la perizia giuste per ribadire il casato.
A trent’anni Andrea fu nominato direttore generale dell’azienda, nel Novantuno amministratore delegato della Pininfarina Deutschland Gmbh, nel Novantaquattro, con lo stesso incarico, della casa madre. Era un cursus honorum dovuto, meritato sul campo (a parte qualche screzio di famiglia) per lo spirito innovativo, creativo, di apertura verso i nuovi, grandi mercati, la Cina su tutti al quale il gruppo riservava il 30 per cento del proprio mercato. E la coincidenza quasi lascia sgomenti, i Giochi di Pechino si sono appena aperti e la vita di Andrea Pininfarina è andata a svanire contro una Ford Fiesta, rossa, il colore della Ferrari del suo amico e «presidente» Luca Cordero, ai tempi della Confindustria. Sono già pagine stracciate del diario, rimesse assieme con la colla delle dichiarazioni ufficiali, delle parole di circostanza, delle prevedibili frasi di repertorio nei confronti di un imprenditore che davvero portava il nome dell’Italia all’estero, disegnando automobili ma divertendosi anche con il profilo della fiaccola olimpica dei Giochi invernali di Torino 2006, lo sport e l’industria, la Vespa e Trofarello, una mattina di agosto, mentre noi pensavamo che l’ingegner Pininfarina Andrea se la spassasse su qualche spiaggia alle Maldive o in Costa Smeralda, secondo moda vippaiola, sgommando a bordo di un Suv.
Ci eravamo sbagliati, come altre mille volte. L’ingegnere stava andando al lavoro, in Vespa.
Sua moglie Cristina, con lei i figli Luca, Benedetta e Sergio, non hanno voce ma soltanto lacrime, al signor Salmi gira ancora la testa. La moto è piegata sul selciato, l’auto ha la fiancata sinistra ammaccata. C’è molto silenzio. Qualcuno dovrà aver detto una parola a Sergio, il senatore dai capelli bianchi, il padre di Andrea. Non so come.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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