Non si sentiva proprio il bisogno che Julian Charrière di origine svizzero-berlinese e Julius von Bismak ideassero una performance artistica dal titolo «Some pigeons ar more equal than others» (Alcuni piccioni sono più uguali di altri) che, trattandosi di «arte» moderna, deve risultare per forza sibillino.
E allora andiamo a spiegare quale improvviso fulmine artistico ha colpito la mente del Charrière, aiutato dalla somma arte fotografica di quel von Bismak, il cui nome ricorda più un erede dell'impero prussiano che del dagherrotipo. Si tratta di un'originale performance artistica, presentata dal duo virtuoso come progetto collaterale alla Biennale di Architettura 2012 che aprirà tra pochi giorni i battenti a Venezia.
In realtà, l'invenzione artistica non è poi così originale, visto che ha già avuto luogo nei cieli di Copenhagn dove, a giugno, svolazzavano trentacinque piccioni dai colori sgargianti, come non se n'erano mai visti. Colombi blu cobalto, rosso fuoco, verdi come la clorofilla, variegati come pesci tropicali, solcavano i cieli della capitale avvistati dagli occhi increduli della gente comune che fantasticava di strane mutazioni genetiche e cominciava anche un po' a preoccuparsi per la propria salute. Nessuna alterazione dei geni dovuta all'inquinamento o a fusioni nel nocciolo delle vicine centrali nucleari, ma soltanto il risultato di una bella mano di vernice data agli uccelli da quel genio di Charrière che aveva predisposto un apparato leonardesco sul tetto di una casa della città nordica.
Come spiega l'artista il «pigeon apparatus» è una vera e propria trappola in cui cade il volatile le cui penne vengono automaticamente verniciate attraverso una piccola pompa, simile a quella che usa chi fa bricolage per dare mani di vernice uniformi e con i colori scelti all'uopo. Lo stesso apparato, si legge sulla pagina Facebook di Charrière, usato a Venezia dove gente del luogo e turisti, hanno mostrato ancora più incredulità dei danesi, nel vedere i «loro» piccioni, noti in tutto il mondo, nascondersi nelle calli per il disgusto e la sfrontatezza di colori che la natura non gli ha mai riservato per ovvi motivi. Il colombo è una preda e, per quanto si sia moltiplicato talvolta a dismisura negli ambienti urbani, tale rimane. Il suo colore, come tutti sappiamo, è il grigio, con un bel blu scuro fino all'ardesia sul collo, in varie gradazione e non presenta mai colori sgargianti perché, la natura lo insegna, questi sono di più facile lettura per i predatori. A differenza del colombaccio, suo stretto parente, persino il becco è diventato bruno anziché rosso e giallo, come quello del suo fratello selvatico.
Naturalmente, una volta passata l'incredulità e saputo del «progetto artistico» ci saranno molte persone che si divertiranno nel vedere colombi lasciare nel cielo strie di giallo fosforescente. Altre, ne sono certo, coglieranno quell'arcano messaggio poetico che Charrière ha voluto inviare alle nostre menti, con questa performance e discetteranno delle varietà cromatiche che riflettono lo stato d'animo dell'autore nella scelta delle vernici spruzzate sui pennuti.
A proposito, lo stesso Charrière precisa, con grande evidenza, che si tratta di coloranti non tossici (vorrei anche vedere questo!) per gli uccelli, che piano piano svaniranno un po' con l'acqua e un po' col tempo. Nel padiglione di Charrière si potrà anche ammirare una colomba bianca che è stata incappucciata e colorata a mano di grigio, per mimetizzarla tra le strade d Berlino.
Il messaggio degli artisti spesso è difficilmente comprensibile e talvolta non ci si deve neanche sforzare di capirlo, ma conviene abbandonarsi alla suggestione che genera nelle nostre menti. Qui si ha l'impressione che la Biennale abbia dovuto colmare qualche vuoto e la suggestione che emana dall'artista Charrière, con rispetto parlando, sia quella del fumo. Grigio come un colombo.
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