La prigione che si fa dolce per fare i panettoni al Papa

Il carcere Due Palazzi di Padova ospita una pasticceria d'eccellenza che produce 60mila golosità all'anno. Ma è soprattutto un grande laboratorio. Di speranza

La prigione che si fa dolce per fare i panettoni al Papa

Un carcere con l'odore di vaniglia. Una prigione che profuma di zucchero. Un lungo corridoio attraversato da un fragrante odore di pasticceria. Non è né un film di Tim Burton, quello della «Fabbrica di cioccolato», né una visione in preda a qualche fungo allucinogeno. Però sembra lo stesso di aver sbagliato posto. Ti aspetti freddi cancelli, pesanti chiavi e secondini accigliati. Invece il profumo arriva da laggiù, in fondo al corridoio: una percezione sensoriale straniante. Segno di una vicenda strana, una storia unica dietro le sbarre di un istituto di pena. Siamo nel carcere «Due Palazzi» di Padova, dove venticinque detenuti lavorano nella pasticceria d'eccellenza della Cooperativa Giotto e confezionano i panettoni che arrivano alla Casa Santa Marta di papa Francesco che ha deciso di regalarli per Natale. Qualche giorno fa Bergoglio ha confermato la tradizione inaugurata nel 2010 da Ratzinger che aveva iniziato a ordinare 250 panettoni cucinati nel laboratorio del carcere padovano da distribuire a dipendenti vaticani, collaboratori, famiglie. «Siamo davvero grati a papa Francesco per aver rinnovato questa scelta - sottolinea Nicola Boscoletto, fondatore e capo della cooperativa che da 23 anni opera qui dentro -. Per i nostri carcerati significa molto. Il Consorzio attualmente dà lavoro a 120 detenuti, di cui quindici in esterno». Incontrando gli operatori della cooperativa, alcuni di loro si sono avvicinati al cristianesimo. Giovanni Bledar è un albanese di Scutari, condannato all'ergastolo per una rissa con morti a Verona, finora ha scontato otto anni. Figlio di genitori musulmani, ha ricevuto il battesimo nel 2010. Anche il suo connazionale Armand, dopo due anni di catechismo, nel maggio scorso ha voluto ricevere i sacramenti, prendendo il nome di Davide «perché sono rinato un'altra volta». Giovanni gli ha fatto da padrino.
Con una produzione di sessantamila panettoni all'anno, la pasticceria è l'attività più conosciuta della cooperativa. Le altre attività sono un call center attraverso il quale si prenotano visite ed esami clinici all'ospedale oppure si esegue il controllo di servizi di energia elettrica e gas per conto di un'azienda privata (29 le persone impiegate), un laboratorio che costruisce e assembla 150 biciclette al giorno (23 persone), un reparto di elettronica che fabbrica digital key per le firme digitali, un laboratorio che serve una nota valigeria veneta (17 persone). «Nella pasticceria si comincia al mattino alle sette e si va avanti fino alle dieci di sera - racconta Boscoletto - In tutti i settori vogliamo misurarci fino in fondo con il mercato senza ricorrere a forme di volontariato o di tirocinio, ma mettendo in regola i nostri dipendenti con il contratto nazionale di lavoro. Siamo distanti da una filosofia assistenzialista. La qualità è prioritaria anche sull'aspetto sociale. Non a caso abbiamo subito critiche anche dal mondo del Terzo settore».
I reclusi che scontano pene definitive al «Due Palazzi» sono 900, divisi in detenuti «comuni» (dai politici ai rapinatori), «protetti» (quelli che potrebbero subire violenza da altri reclusi causa il delitto di cui si sono macchiati) e di «alta sicurezza», un gradino sotto l'isolamento. Dovrebbero essere 350 al massimo, invece le celle costruite per un detenuto ne accolgono sempre due e spesso tre.
Alla parete del corridoio è appesa una gigantografia dell'«Icaro» di Matisse, quello con una figura stilizzata nera e un solo puntino rosso, all'altezza del cuore. «Perché l'uomo non è mai fatto solo di male - spiega Boscoletto -. C'è sempre un punto da cui si può ripartire per cominciare a cambiare. Quando siamo arrivati qui nel 1991 vincendo un appalto per la manutenzione del verde non immaginavamo di iniziare una storia così. Ma da quel corso di giardinaggio per venti detenuti è cominciato qualcosa di nuovo. Il lavoro ridà dignità a queste persone. Non a caso abbiamo constatato che, tra i detenuti che lavorano, la propensione a tornare a delinquere che normalmente oscilla tra il 70 e il 90 per cento, scende fino all'1 per cento». Poco più in là ecco una foto del carcere di Noto scattata nel 1951 con il motto degli agenti di custodia: «Vigilare redimere». Con la riforma del '91 gli operatori del carcere si trasformarono in Corpo di polizia penitenziaria scegliendo un altro impegno: «Il nostro compito è dare speranza». «Ancora più impegnativo - osserva Boscoletto - perché per dare speranza bisogna averla e soprattutto viverla».
Ma a guardare gli occhi di questi ex delinquenti c'è da scommettere che una speranza è entrata nei loro cuori. Dice Gabriele, un trentino che sta al montaggio delle biciclette: «I giorni peggiori sono il sabato e la domenica e adesso le feste che arrivano, perché non si lavora e non si fa niente». Biagio è sardo, in galera da 16 anni, ergastolano che si occupa della pasticceria: «Io ho sempre lavorato.

Poi ho avuto questo infortunio, con la mia famiglia (anche altri due fratelli sono in carcere, ndr). Ho girato tanti penitenziari: dappertutto ti tolgono la libertà e la dignità. Chiedi qualcosa e ti rispondono sempre di no. Qui almeno la dignità ce l'hanno restituita».

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