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Primarie Pd, Renzi si prenota "Chi vince corre da premier"

Il sindaco di Firenze scuote i democratici, ancora incerti sulla data e sulle regole del congresso. E fa capire di essere il vero uomo forte

Primarie Pd, Renzi si prenota  "Chi vince corre da premier"

RomaQuanti carri armati schiero in Jacuzia? E tu in Cita? Ma se li sposto dalla Siberia, mi lasci mano libera in Scandinavia?

La «Generazione Risiko» del Pd si prepara a darsele di santa ragione al congresso di «entro l'anno» (copyright Epifani, un fuori quota). Quel che c'è di peggio - nell'estenuante battaglia ormai cult per addetti ai lavori - è che manca un numero imprecisato di mesi all'appuntamento, diciamo cinque-sei. Poco male; se è per questo mancano anche le regole, un'identità definita, la visione del bene comune, figurarsi il progetto. Non si sa dove andare, con chi e a far che. C'è poi chi attende il tonfo di Letta junior e chi scommette sulla coriacea pellaccia dc.

Ma ciò che non manca affatto sono i candidati. Veri, presunti, farlocchi, inventati dai quotidiani concorrenti in virtù di scuole di pensiero o di amicizie da divanetto di Transatlantico. Oppure lanciati in corsa da burattinai occulti solo per vedere l'effetto che fa. Così ecco Cuperlo (già dalemiano, già definito «divisivo», ma che non accetta «passi indietro»); Fassina (bersaniano già giovane turco e già espressosi in favore di Cuperlo, ma ieri pronto a candidarsi al posto di Cuperlo e a bacchettare Renzi: «Basta vittimismi»); la Serracchiani (non sgradita a Renzi, mossa da lettiani, franceschiniani e bersaniani per cercare di far ingoiare a Renzi lo sdoppiamento leader-premier). E ancora: Civati, sinistra movimentista; Pittella, sinistra in movimento verso il centro; Tabacci, marxista di centro; un non meglio precisato esponente «Ecodem» (il nome magari lo si sceglie alla festa dell'Unità, stand «Tre palle un tiro»).

Chiaro come in una situazione del genere l'unico candidato, anzi segretario in pectore, Matteo Renzi, sia sottoposto a una pressione mica da ridere. Pressappoco della medesima intensità cui è sottoposto da un paio di mesi il (quasi) coevo Enrico Letta al governo, per cui si può ben dire che il giochino del Risiko a contagocce che compare in queste settimane sui quotidiani serva anzitutto come fuoco di copertura, per logorare Renzi con una pletora di personaggi candidati e distoglierlo dal mettere a repentaglio la permanenza lettiana a Palazzo Chigi. Matteo lo ha capito e difatti ha diradato le sue uscite pubbliche. Ma continua certo a lavorare sotto banco in vista delle alleanze congressuali; né più né meno come il suo grande nemico, Pier Luigi Bersani, che cova un grande sogno: rovinare la festa al fiorentino tenendosi il Pd.

Alla luce delle mosse e contromosse di questi giorni, ieri lo staff del sindaco ha reso noto il contenuto di un'intervista renziana alla Frankfurter Allgemeine Zeitung, il cui succo è ancora e sempre lo stesso: se volete truccare il gioco, sdoppiare il leader dal premier, fare un congresso contro di me invece che lasciarmi mano libera, arrivederci e grazie, resto a Firenze. «La sfida più grande sarebbe certamente la posizione di premier - spiega Renzi al maggiore quotidiano tedesco - e per questo diventa importante il partito. Chi vince le primarie aperte dovrebbe essere il candidato a guidare il governo. Certo, non vorrei diventare capo del Pd per cambiare il partito, ma per cambiare l'Italia». All'ultima riunione della commissione che decide sulle regole, giovedì scorso, l'area dei bersaniani ha proposto di svincolare i congressi provinciali e regionali dalle mozioni dei candidati alle primarie. Significato: dare il controllo dell'apparato di partito a chi lo detiene già, e tenersi in tasca l'opportunità di giocare l'odiato jolly-Renzi come premier in caso di elezioni. Il sindaco non poteva subire in silenzio, così ha ripreso anche a dare un po' di tormento a Letta (vero ispiratore di tutto questo manovrare), sottolineandone la sbiadita caratura: «Tutto quello che fa è pragmatico e non rivoluzionario, ma nella nostra situazione i piccoli passi non bastano». Si parla a nuora perché suocera intenda.

Ma le suocere son troppe e le lingue, più che ingarbugliate, biforcute assai.

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