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Proibito conservare i tabulati telefonici: «Si viola la privacy»

RomaMantenere i dati delle telefonate significa violare la privacy degli utenti. Ieri la Corte di Giustizia europea ha dichiarato invalida la direttiva di Bruxelles del 2005, nata sull'onda della paura per gli attentati di Madrid e Londra, che aprì la strada alla conservazione di tutti i dati telefonici per un minimo di sei mesi a un massimo di due anni, permettendo di individuare numero contattato dall'utente e orario.
Una pratica che si è rivelata utile soprattutto per gli uomini delle forze dell'ordine, che grazie ai tabulati spesso sono riusciti a smascherare i criminali. Vietato, invece, da sempre per gli operatori di telefonia archiviare i contenuti delle comunicazioni, se non dietro specifica richiesta dell'autorità giudiziaria. La decisione dei giudici europei cambia invece le carte in tavola e da oggi non c'è distinzione tra dati personali e non: entrambi sono ritenuti «un'ingerenza di vasta portata e particolare gravità nei diritti fondamentali e nel rispetto della vita privata e nella protezione dei dati di carattere personale». Per i giudici, infatti, le informazioni raccolte, se opportunamente incrociate, potrebbero consentire facilmente di identificare gli utenti, in violazione delle regole Ue sulla privacy.
A chiedere la valutazione dei giudici dell'Ue erano state l'Alta Corte irlandese e la Corte costituzionale austriaca. La prima, infatti, era stata chiamata a pronunciarsi su una controversia tra la società irlandese Digital Rights e le autorità irlandesi sulla legittimità di provvedimenti nazionali riguardanti la conservazione di dati relativi a comunicazioni elettroniche mentre la Corte austriaca aveva lo stesso problema, in diversi ricorsi in materia costituzionale presentati dal governo del Land di Carinzia e da 128 ricorrenti. Ieri la Corte europea ha dato il suo giudizio spiegando nella sentenza che i dati conservati danno troppe indicazioni sulla vita privata dei soggetti, perché consentono di sapere con quale persona e mezzo un abbonato o un utente registrato ha comunicato, determinare il momento della comunicazione, il luogo da cui ha avuto origine, e la frequenza delle chiamate con determinate persone.
Non viene celato nulla, insomma, compresi spostamenti, attività svolte e relazioni sociali del soggetto controllato. La conservazione e il successivo utilizzo dei dati, poi, avviene senza che i soggetti ne siano informati, dando la sensazione che la vita privata sia oggetto di costante sorveglianza. «Ora i ministri dovranno riunirsi in fretta per trovare un modo per coordinarsi» spiegano fonti della Commissione responsabile per la giustizia, chiarendo che la sentenza cancella la direttiva come non fosse mai esistita. «Ma per il momento - continuano dalla Commissione - non ci sarà impatto immediato sulla possibilità degli inquirenti di usare i dati telefonici raccolti, perché la direttiva è stata recepita e trasformata in leggi nazionali da 26 dei 28 paesi della Ue (non da Germania e Belgio». Le leggi nazionali, quindi, non sono messe in discussione e restano valide, ma ora sono evidentemente esposte al rischio di ricorsi, da parte dei singoli cittadini e delle compagnie telefoniche. «La sentenza opera un riequilibrio tra sicurezza e privacy in questi anni disallineate - commenta Antonello Soro -.

Con questa decisione, infine, la Corte sottolinea l'esigenza che i dati oggetto di conservazione per ragioni di giustizia restino nel territorio dell'Ue, con riferimento alle recenti vicende del Datagate».

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