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Quel muro di omertà sui tre miliardi evasi

Nessuno parla della denuncia del manager Liguori: scattano solo querele e intimidazioniIl caso I soldi intascati da Beppe

Quel muro di omertà sui tre miliardi evasi

Lello Liguori aveva parlato tre anni fa. Aveva raccontato al critico musicale del Secolo XIX - lui che è stato l'inventore del «Covo» di Santa Margherita Ligure e ha portato in Italia le più famose stelle mondiali di musica, cinema e televisione - che Beppe Grillo si faceva pagare in nero oltre l'80 per cento del cachet. Allora non aveva sollevato nessuna reazione, niente minacce di querele, niente smentite.
Ora le parole dell'impresario che per la prima volta fece salire Grillo su un palcoscenico sono state ripubblicate dal Giornale di sabato e confermate da un'intervista-memoriale domenica. A quasi 80 anni Liguori conserva ricordi lucidi: le date, i luoghi, le somme, i testimoni. Mai avrebbe immaginato che le sue dichiarazioni prese per buone nel 2011 sarebbero diventate oggi il pretesto per una guerra di querele e motivo di aggressioni fisiche, segno dell'intolleranza che prevale in certe frange del movimento Cinque stelle.
Se quanto sostiene Liguori fosse falso, Grillo avrebbe dovuto smentire il Secolo XIX a suo tempo. Invece tacque. Non si azzardò nemmeno a negare l'ammontare del cachet: 70 milioni di lire a serata. A metà degli Anni 80 - questo è il periodo in cui Liguori ospitava Grillo nei locali - lo stipendio medio di un operaio non si avvicinava lontanamente al milione di lire. Con quello che il comico incassava in una sola serata ci si comprava una casa.
Oggi invece Grillo reagisce con violenza. Scrive sul suo blog che l'impresario sarebbe «coinvolto, con inquietante continuità, in inchieste giudiziarie per droga e criminalità organizzata» e conclude «ci vediamo in tribunale». Anche i suoi manager, Vincenzo e Aldo Marangoni, annunciano querele dopo aver taciuto per tre anni: «Avendo seguito in prima persona tutta la carriera artistica di Beppe Grillo, siamo certi che i fatti riferiti dal sig. Liguori sono privi di ogni fondamento. Ci riserviamo ogni azione legale».
Parallelamente, una nuova pesante cappa di mutismo è calata per la seconda volta sulle rivelazioni di Liguori. Una congiura del silenzio ha circondato lo scandalo dei denari in nero pretesi e incassati dal comico. Tv e giornali, compresi quelli che vivono dei guai giudiziari altrui, hanno fatto a gara per ignorare le imbarazzanti vicissitudini delle finanze grilline.
Al silenzio si sono aggiunte le intimidazioni. Sabato Lello Liguori è stato bersagliato da decine di strane telefonate di persone che facevano squillare l'apparecchio e riattaccavano appena alzata la cornetta. Domenica mattina l'impresario è stato aggredito per la strada da un militante pentastellato. Si è barricato in casa facendo staccare il citofono. Ieri pomeriggio si è recato dai suoi legali per valutare la possibilità di querelare a sua volta il leader del M5S: l'impresario ha subìto processi ma mai è stato indagato per droga.
Nei comizi, nelle piazze, sul web la campagna contro l'evasione fiscale è un cavallo di battaglia del M5S. Ma Liguori non ha dubbi: Grillo è uno che predica bene e razzola male. «Detesto Grillo - dichiarò al Secolo XIX - perché va in giro a fare il politico, a sputtanare tutti quanti, ma quando veniva da me, carte alla mano, si faceva dare 70 milioni, dieci in assegno e sessanta in nero. Ho i testimoni».
Con il Giornale Liguori ha rincarato la dose. «Grillo avrà preso 2-3 miliardi di lire in nero. I patti erano quelli, 10 milioni in assegni e 60 in contanti a serata. Quasi tutti gli artisti pigliano una parte in nero, almeno il 30 per cento.

Però solo Grillo così sfacciatamente li pigliava quasi tutti in nero».

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