Politica

Quelli che tifavano per i maestrini anti-Italia

La sinistra esultava per le bacchettate dell'Europa. Ora elogia la sfida di Renzi ai "falchi del rigore"

In principio, mettiamo da vent'anni a questa parte, almeno, era un coro di «bene» e di «giusto». In principio, mettiamo specialmente quando Silvio Berlusconi era al timone dell'Italia, la sinistra e i «sinistri» fossero politici, opinionisti, giornalisti schierati, erano pronti ad applaudire qualsiasi critica, anche ferocissima, che uscisse dai vertici della Unione europea per colpire il nostro Paese. Poi arrivò Renzi Matteo, l'uomo della rivoluzione e della rottamazione. L'uomo che un giorno, l'altro giorno, ebbe il coraggio di dire che «l'Ue non è una maestrina che prende a bacchettate gli alunni troppo discoli, né l'Italia ha intenzione di andare a Bruxelles a prendere lezioni o di presentarsi con il cappello in mano perché il tempo in cui andavamo in Europa a farci fare le lezioncine è finito». E la sinistra, la sua sinistra? Tutta in coro, ancora una volta. Ma, questa volta, a dire che ha fatto bene a farsi sentire e a far rispettare l'Italia. Come ha fatto ieri curiosamente Ezio Mauro, direttore di Repubblica, che nel suo commento sul sito del quotidiano plaude alla sfida lanciata da Renzi contro i pregiudizi dei falchi di Berlino.

Ma allora, qualcosa non torna. Era l'agosto del 2011 quando un simpatico terzetto formato da Franceschini, Bersani e dall'immarcescibile Prodi, amplificati da Repubblica e dal Corriere aveva preso ad usare e volentieri la parola «commissariamento» come «inderogabile necessità per seguire le giuste imposizioni dalla Banca centrale europea che aveva inviato all'Italia una serie di indicazioni, raccomandazioni e suggerimenti per fare fronte alla crisi», una via da seguire in cambio del sostegno ai nostri titoli di Stato. A sentire loro, Berlusconi sarebbe stato commissariato dopo pochi mesi per le sue «inadempienze» puntualmente rilevate dall'Europa merkeliana. D'altra parte quante volte, l'ultima in un comizio a Torino nel febbraio 2013, Bersani è corso ad applaudire le bacchettate dell'Europa e a ricordare lo scarso «europeismo» dell'ex premier approfittando dei rimbrotti di Bruxelles. Citiamo un passaggio inequivocabile dello smacchiatore di giaguari: «È bene ricordare che quando arrivammo sull'orlo del precipizio, l'Europa chiamò Tremonti e Berlusconi e il ragionamento era: attenzione, che se voi crollate, viene giù tutto il condominio, cosa avete da dirci? E loro non avevano niente da dire. Allora parlavamo solo di Ruby infatti. Berlusconi non aveva riforme da presentare e non poteva portare promesse perché la credibilità era zero».
E il gran pensatore Massimo Cacciari? Sempre pronto, come ha fatto anche poco tempo fa ai microfoni di un autorevole tg, a sintetizzare il concetto che «occorre rimanere appesi al filo dell'Europa e rispettarla. Perché senza Europa, la secessione in tutti i sensi è da considerarsi scontata in Italia». Poteva mancare Eugenio Scalfari nel gran coro? Macché. Quindi leggiamo insieme una sua idea ricorrente riportata anche nell'amabile rubrica «Vetro Soffiato» dell'Espresso: «Bisogna puntare soprattutto sui poteri del Parlamento europeo, della Commissione della Ue e della Banca centrale. Bisogna altresì scontare la prospettiva dell'egemonia tedesca, almeno nella fase iniziale di questo percorso». La solita solfa, insomma, ribadita nel maggio scorso.

Forse perché non sono mai mancati gli scambi di complimenti fra Scalfari e mister Martin Schulz, che aveva definito una «minaccia per l'Italia e per la stabilità europea» il ritorno in campo di Berlusconi. E dal presidente del Parlamento Ue al nostro il passo (delle critiche) è breve. Giorgio Napolitano non ha mai perso occasione per stare dalla parte dei nostri bacchettatori e bacchettare lui «quelle forze politiche che si scagliano contro l'euro e vedono l'Europa non come la soluzione ma come il problema». Lo ha ripetuto in un discorso a Berna davanti al Consiglio federale a pochi giorni dal voto del 25 maggio osservando che «l'Europa va aiutata e rispettata nelle sue indicazioni proprio quando inizia a mostrare segnali di ripresa ed è attraversata da pulsioni e populismi e sterili nazionalismi che mettono in discussione struttura ed obiettivi della costruzione peculiare comune». Sarà. Forse incoraggiati da tutte queste certezze è per questo motivo che, fregandosene dell'Italia e dell'allora governo Berlusconi, i «progressisti» regionali piemontesi di Rifondazione comunista, Comunisti italiani e Verdi inviarono una lettera ai rappresentanti dell'Ue perché fossero loro, i bacchettatori dell'Italia, ad ascoltare quei movimenti e popolazione che si oppongono al progetto Tav.

Così ci si fa rispettare.

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