"Qui gli imprenditori sono sfruttati dallo Stato"

Il vincitore del Campiello Abdrea Molesini: "Più che voglia di autonomia c'è la rivolta dei contribuenti che non ricevono abbastanza"

L'azione prevista dai secessionisti veneti prevedeva il momento clou con l'arrivo del tanko proprio in piazza San Marco, nel cuore di quella Venezia di cui lui si dice orgoglioso cittadino. Ma lui sostiene con forza che si tratta di «una follia infantile, una stupidaggine folcloristica, poco in armonia con la realtà di oggi» e dice di essere distante dalle ragioni della Lega «per motivi poetico-spirituali». Poco importa che, tra gli scrittori veneti e veneziani, Andrea Molesini sia uno dei pochi su cui ha tirato un'aria di criptoleghismo ai tempi del Campiello 2011, da cui uscì vincitore con Non tutti i bastardi sono di Vienna (Sellerio), romanzo sulla generazione del Piave, che presentava con la frase «Il ruolo di ospite in casa propria è quello di ciascuno di noi, ora, qui», specificando che «l'Europa non è più la testa del mondo, ma un'appendice di scarso valore, sia rispetto al momento storico che individuale. Siamo padroni di casa impotenti: invitati a cena da chi si è impadronito del rifugio, della famiglia, della tradizione, di ciò che conosci».

È cronaca: 24 secessionisti arrestati. Il vento di indipendenza spira o non spira?
«Il movimentismo avrà pur dignità di cronaca, ma è gonfiato. Non ho mai sentito parlare una volta del referendum sull'indipendenza, nemmeno al bar la mattina. Casomai è Venezia che sviluppa a volte una voglia di separatezza naturale dal territorio, un suo campanilismo snob. Il Veneto è una regione molto produttiva, nota per la sua laboriosità, e si sente forse più sfruttato degli altri. Anche se sfruttato è una parola che non amo: diciamo beffato dal fatto che paga le tasse e non riceve abbastanza. Quella che ora è una lamentela leghista esisteva ben prima della Lega».

Prima quanto?
«I veneti hanno molti difetti ma non sono gente dedita alla violenza, né facinorosa, anche se poi c'è chi seppellisce le prostitute nel giardino. Ma è un tratto. Nel Veneto - non a Venezia, badi bene - c'è gente come la dipinge la tradizione: vecchio cattolicesimo contadino. Quando c'era la Serenissima e i veneti erano trattati male dai veneziani, non si ribellavano, tranne in rari casi. È la cultura della mezzadria che sopravvive: quando il mezzadro rubava, il padrone, che sapeva di sfruttarlo, chiudeva un occhio. Oggi il mezzadro è il piccolo imprenditore col capannone: si sente sfruttato dallo Stato».

Ipotizziamo che la secessione sia possibile: avrebbe un senso?
«Prima di tutto, non so come farebbe un Veneto-nazione da solo a fare economia e storia in un'Europa di 400 milioni di abitanti: se ci fosse un progetto razionale di dipendere più da Bruxelles che da Roma, allora se ne potrebbe discutere. Che Venezia si senta più vicina a Parigi o Vienna che alla Calabria è vero, ma per ragioni antiche. È una città internazionale, cosmopolita forse, più che italiana.

Poi: per fare identità nazionale ci vuole una lingua, una letteratura. E al momento non ci sono più. Io stesso se volessi scrivere in veneto o in veneziano non avrei le parole. Quello che in Veneto si parla oggi è un italiano dialettizzato, non una lingua veneta o un dialetto».

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