"Ratzinger mi confidò: non ho le forze"

Il filosofo Giovanni Reale e l'incontro con l'allora cardinale: "Gli chiesi la prefazione a un libro di Wojtyla. Era stanco e fu sincero"

"Ratzinger mi confidò: non ho le forze"

«Voglio raccontarle un episodio». Giovani Reale, filosofo, professore per molti anni alla Cattolica e poi all'Università Vita-Salute del San Raffaele, ha avuto il privilegio di conoscere da vicino Joseph Ratzinger. E da quella frequentazione parte per analizzare la scelta choc di Papa Benedetto e il difficile momento che la Chiesa sta attraversando.
«Mi trovavo, una decina d'anni fa, alla presentazione del libro di poesie di Papa Wojtyla Il trittico romano. Ma meditavo di raccogliere tutte le encicliche di Giovanni Paolo II. Al mio fianco c'era il cardinal Ratzinger. Mi venne subito un'idea».
Quale?
«Far scrivere a lui la introduzione di quel testo che sarebbe stato un atto di omaggio a Giovanni Paolo II. Glielo chiesi subito».
Lui?
«Era un momento pesante, Wojtyla non stava bene, il cardinale era stanco per i troppi impegni».
Che cosa le rispose?
«Mi disse candidamente: “Non ho le forze per fare quello che lei mi chiede”».
Allora come oggi?
«A maggior ragione. Questo Papa ha un coraggio straordinario. E le sue dimissioni non sono un gesto di debolezza, ma di forza».
E perché?
«Perché il Papa ha preso atto della situazione. È stanco, affaticato. E per mandare avanti la Chiesa ci vogliono forze fisiche e spirituali. Se le forze fisiche vengono meno, anche quelle spirituali si contraggono».
Wojtyla rimase sul trono fino alla fine.
«D'accordo, ma sono allora io a porre una domanda: alla fine chi governava la Chiesa?»
Secondo lei?
«I collaboratori di Wojtyla, certo non lui».
Ratzinger cambia registro?
«Sì. Consideri che è tedesco: o fa le cose al cento per cento o non le inizia nemmeno. Però mi affascina un apparente controsenso».
Quale?
«Wojtyla aveva un temperamento diverso da Ratzinger, ma se le dovessi indicare il successore ideale di Wojtyla, non avrei esitazioni. Le farei il nome di Ratzinger».
Dov'è la continuità fra i due?
«La parola chiave dei due pontificati è una. Amore. Vede, io ho pubblicato le opere poetiche e filosofiche di Wojtyla. E sottolineo Wojtyla e non Giovanni Paolo, come lui stesso mi spiegò: “Adesso devo far parlare Cristo, non la mia persona e nelle poesie invece parla l'uomo Wojtyla”. Capisce?»
L'amore è l'amore per Cristo?
«Sì, è l'amore per Cristo e in Cristo: tu lo ami e lui entra in te, tu ti protendi verso di lui e lui ti afferra, come insegna San Paolo. È il concetto chiave che torna nella prima enciclica di Benedetto: Dio è amore. I due sono assai vicini. L'ho capito parlando proprio con Wojtyla».
Che cosa le disse?
«Io gli facevo i complimenti per l'enciclica Fides et Ratio in cui, con un coraggio eccezionale, aveva scritto finalmente che San Tommaso d'Aquino non è il filosofo ufficiale della Chiesa perché la Chiesa si confronta con tutto il pensiero. Lui mi bloccò: “Calma, calma, io ho ottimi collaboratori”. Si capiva che alludeva a Ratzinger. Io naturalmente replicai che il merito di aver scelto quei collaboratori era suo e lui si fece una sonora risata. Però quell'enciclica capitale del cristianesimo contemporaneo fu ispirata da Ratzinger».
Che cosa ancora l'ha colpita di Ratzinger?
«Il suo contributo è duplice: sulla filosofia ho già detto, ma poi c'è la questione delle culture. Nessuna cultura può essere identificata col cristianesimo, ma il messaggio di Cristo le feconda tutte. Neanche la cultura Occidentale, che ci arriva dai greci, riesce a catturare tutta la ricchezza della parola di Dio. Ratzinger è un gigante e avrebbe potuto, nel suo pontificato, mettere in evidenza la propria maestria di teologo. Invece ha sempre tenuto un profilo basso. Ha privilegiato i compiti di pastore e diffusore del messaggio cristiano, come Pietro».
Adesso?
«Adesso viene il difficile. Ratzinger ha proseguito l'azione di Wojtyla. Ci vuole qualcuno all'altezza».
Che cosa è più urgente per la Chiesa?
«La Chiesa si deve spogliare di tutti i problemi legati al potere temporale e alla mondanità. Deve purificarsi. Ratzinger la sua parte l'ha fatta».
Sulla pedofilia?
«Una volta nella Chiesa le pagine della vergogna venivano nascoste. Lui sulla pedofilia è stato durissimo.

Ma la priorità delle priorità è Cristo. Kierkegaard diceva che c'è fede fino a quando consideri Cristo presente davanti a te. Il nuovo Papa dovrebbe insegnare al mondo esattamente questa posizione: Cristo è un nostro contemporaneo».

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