Roma - Obbligo per i lobbisti di relazionare la loro attività, interdizione quasi totale alla professione per politici e amministratori pubblici, pubblicazione online dei finanziamenti privati ai partiti. Parte da questa traccia la riforma delle lobby. Venerdì dopo il consiglio dei ministri il governo l'ha annunciata senza dare particolari, a parte un laconico: «Il presidente del Consiglio ha presentato le linee sulle quali si articolerà un prossimo disegno di legge in materia di attività delle lobbies».
Il canovaccio che Palazzo Chigi vuole utilizzare è la proposta elaborata da VeDrò, think tank politico ed economico fondato nel 2005 dagli attuali premier e vicepremier, Enrico Letta e Angelino Alfano. Da lì si parte, anche se il risultato finale sarà un provvedimento scritto a più mani. I ministeri stanno studiando proposte da sottoporre al premier e i testi saranno integrati, ci lavorerà anche il ministro delle Riforme Gaetano Quagliariello.
Come per lo stop al finanziamento pubblico ai partiti, Letta vorrebbe tempi veloci: il testo dovrebbe essere pronto entro 15 giorni. Un messaggio importante per il premier, soprattutto dopo il servizio delle Iene sui parlamentari a libro paga di lobby private.
Ma non sarà facile per il governo rispettare i tempi. Quello di Letta è il 53esimo tentativo di presentare una normativa organica sull'attività dei gruppi di pressione. Il secondo di iniziativa governativa (il precedente risale al governo Prodi e porta la firma del ministro Giulio Santagata). «Sono tutti naufragati un po' perché non c'era sempre la condivisione necessaria intorno ai progetti presentati», spiega Gianluca Suego, autore del libro Lobbying e lobbismi. «Poi è lecito pensare che anche agli operatori non faccia piacere una normativa che li obblighi a rendere conto nel dettaglio della loro attività».
La trasparenza è un punto fermo di tutte le proposte di regolamentazione delle lobby. Quella dell'associazione di Letta non fa eccezione. C'è l'istituzione di un elenco dei lobbisti, la garanzia di accesso ai decisori pubblici uguale per tutte le lobby, un modo per non favorire quelle dei grandi gruppi. Poi l'obbligo, sia per i lobbisti sia per i decisori pubblici, di fare una relazione sull'attività. Poi le incompatibilità, il divieto di revolving door, in altre parole chi ha ricoperto ruoli pubblici, politici e amministrativi, non può diventare lobbista se non dopo un periodo di pausa. Stessi limiti per chi fa il percorso inverso. Poi la pubblicazione sul sito del governo dell'elenco, aggiornato in tempo reale, di tutti i contributi ricevuti dai partiti quando siano superiori ai 50 euro. Misura che non riguarda direttamente l'attività dei gruppi di pressione, ma serve a rendere più trasparente la politica, soprattutto se verrà abolito il finanziamento pubblico.
A Palazzo Chigi c'è anche la proposta dei saggi nominati dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (dei quali faceva parte anche il ministro Quagliariello). Una parte del testo dedicato alle riforme riguardava proprio le lobby e prevede l'estensione dell'albo anche alle regioni e il diritto dei lobbisti ad essere ascoltati durante l'iter legislativo dei provvedimenti. In quindici giorni il governo dovrà varare un testo equilibrato. Efficace, ma senza eccessi come quelli previsti dal ddl anti corruzione dell'anno scorso.
Nella prima versione prevedeva il reato di «traffico di influenze», che avrebbe di fatto messo fuori legge ogni attività dei gruppi di pressione. Poi è stato cambiato e ammorbidito. Anche grazie all'azione della lobby dei lobbisti, che si riunisce attorno all'associazione «Il Chiostro».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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