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Il Pd "lapida" il premier: domani le dimissioni di Letta

Renzi boccia l'ipotesi della staffetta e dà il ben servito al governo: "Non andiamo nella stessa direzione". E detta le proprie condizioni: "Patto di legislatura per dare risposte reali". A Letta non resta che fare un passo indietro: domani salirà al Colle per dimettersi

Il Pd "lapida" il premier: domani le dimissioni di Letta

Scacco matto. Adesso il governo ha le ore contate. La sfiducia non arriva dal parlamento, ma dalla direzione nazione del Partito democratico. Dopo una violenta inversione di strategia, che ha fatto precipitare la situazione nel giro di pochi giorni, Matteo Renzi rompe gli indugi e dà il ben servito a Enrico Letta: "Serve aprire una fase nuova con un esecutivo nuovo che si ponga come orizzonte la fine della legislatura". Tutto il partito appoggia l'ordine del giorno del segretario. E al premier non resta che rassegnare le dimissioni al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

Dopo la decisione di non prendere parte alla direzione del Pd, il premier Enrico Letta preferisce rimanere blindato nel bunker di Palazzo Chigi. E così finisce per subire passivamente la diretta della riunione del partito dal proprio studio, insieme ai più stretti collaboratori. Al quartiere generale di via Sant’Andrea delle Fratte, presidiato da camionette e forze dell’ordine in tenuta antisommossa, l'aria che si respira è tesa. A rompere gli indugi, tirati in lungo da un triste teatrino che ha visto Napolitano provare a ricucire i rapporti fino all'ultimo momento, ci pensa Renzi respingendo con forza l'ipotesi della staffetta con Letta e proponendo un "nuovo governo" che duri fino al 2018 e porti a termine quelle riforme a lungo promesse (legge elettorale, impianto costituzionale e snellimento della burocrazia). Se da una parte ringrazia Letta per il lavoro svolto fino a questo momento, dall'altra lo licenzia in tronco invitando i democrat a non aderire a quel patto di coalizione su cui Letta ha deciso di metterci la faccia andando a elemosinare un voto di fiducia che già ieri sapeva non sarebbe mai arrivato. "Mettersi in gioco adesso ha un elemento di rischio personale. Ma chi fa politica ha il dovere di rischiare in alcuni momenti - scandisce Renzi - vale anche per me". Il senso del discorso del segretario piddì è chiaro sin dall'inizio: "Adesso tocca a me".

Il nuovo governo non passerà attraverso le forche caudine delle urne, non sarà eletto legittimamente dagli italiani. Sarà figlio, come già con Monti e Letta, di manovre di Palazzo. Il primo a respingere le elezioni è proprio Renzi. "La strada delle elezioni ha una suggestione e un fascino - spiega - ma ancora oggi non abbiamo una normativa elettorale in grado di garantire la certezza della vittoria". Da qui la proposta di licenziare il governo Letta per formarne uno nuovo che abbia come obiettivo il 2018, ovvero la fine della legislatura. Il tempo necessario a Renzi per calendarizzare le riforme. "Dobbiamo avere la disponibilità a correre il rischio che deve essere preso con il vento in faccia - incalza - avere il coraggio di mettere la faccia fuori e avere il vento contro significa assumere il rischio del cambiamento necessario". Nel chiedere ai membri del "parlamentino" dem "un cambiamento radicale" per "uscire dalla palude", li invita ad assumersi le proprie responsabilità mandando a casa Letta e aprendo una fase nuova con la stessa maggioranza che appoggia anche l'attuale esecutivo.

Al termine di una direzione nazionale senza colpi di scena, l’ordine del giorno con cui Renzi chiede un nuovo governo passa con 136 voti favorevoli, 16 voti contrari e due astenuti. Fino all'ultimo l'ex viceministro Stefano Fassina prova a convincere Letta a fare un passo indietro subito, per evitare una sfiducia tanto plateale. Ma il premier non ci sente: trincerato nel bunker decide di andare fino in fondo.

E, dopo essere stato lapidato dall'85% del Pd (solo i suoi uomini si oppongono andandonando i lavori), getta la spugna e annuncia che domani salirà al Colle per rassegnare le dimissioni a Napolitano.

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