Roma - Il Pd nacque con un «difetto di fabbrica», ormai è accertato. Ma non sarà certo l'Assemblea che si apre oggi alla Nuova Fiera di Roma, con l'annunciata incoronazione di Epifani, a sanarla. Il rischio è che non possa riuscirci neppure il congresso che si terrà entro ottobre.
All'interno della crisi del partito, infatti, c'è un elemento cardine attorno al quale ruota la giostra: il governo di Enrico Letta. E un leader-ombra che starà alla finestra di Palazzo Vecchio in attesa degli eventi, che non riguardano affatto l'ombelico del partito: Matteo Renzi. «Non mi interessa fare il segretario», ha finora dichiarato il sindaco di Firenze, sfruttando l'idea ormai comune che egli sia piuttosto «animale da competizione elettorale». Eppure, nei conciliaboli di questi giorni i renziani si sono battuti per scongiurare lo sdoppiamento della figura del leader da quella del candidato premier.
Dietro l'apparente contraddizione si cela il percorso immaginato da Renzi, che non può prescindere per il momento né dal partito, né dal sostegno a Letta. Ma è chiaro che se l'esperienza delle larghe intese marciasse, arrivando all'autunno con risultati nel piatto, la situazione cambierebbe. Al Pd servirebbe allora eleggere al congresso un segretario organizzatore. Per meglio dire, un esecutore testamentario. Se il governo superasse un paio d'anni di vita, ha confidato il sindaco ai fedelissimi, «il Pd non esisterebbe più».
Si tratta perciò di una corsa contro il tempo e contro la corrente lettiana. Questo uno dei motivi che ha suggerito a Bersani di non tenere alcuna relazione introduttiva e ai vecchi maggiorenti di insistere sul governo come «evento eccezionale, di durata breve». A Civati, alla Puppato, agli OccupyPd sarà lasciato un «diritto di tribuna» sul dissenso. Purché non si esageri. Renzi, da questo, cerca di tenersi alla larga e di risalire la corrente come il salmone che va a deporre le uova nelle acque più pure, alla sorgente. Il nuovo inizio. La sua scommessa sta nei risultati negativi dell'esecutivo, nella prospettiva che si giunga a ottobre con l'esperienza Letta già in articulo mortis e il vento di elezioni a primavera già bello teso. «A quel punto, certo che la segreteria gli interesserebbe», confida uno dei suoi stretti collaboratori. E non a caso Dario Nardella, deputato a lui vicino, incurante delle sue smentite, ha continuato a diffondere la possibilità di Renzi segretario. Non per occupazione di spazi verrà inserito il fidato Luca Lotti nello staff del segretario, all'organizzazione; i motori vanno tenuti accesi per la sfida decisiva con il Cav.
Come spiegava il deputato Angelo Rughetti - a proposito del marchio «Pd» ormai così compromesso da far pensare alla sua rottamazione (persino Bettini, già longa manus del fondatore Veltroni, pensa al cambio di nome) - «un marchio danneggiato si può rilanciare: con un testimonial di prestigio». Renzi (ma anche ormai buona parte dei «big») pensa appunto di essere l'unico testimonial possibile, ed emergerà qualora l'economia e la morsa del Pdl mettano Letta junior in braghe di tela.
La cosiddetta «lista Renzi» tornerebbe buona, invece, qualora i risultati del governo centrista mettessero in evidenza che con la sinistra va raggiunta un divorzio consensuale. «Switcheremmo solo in quel caso», il ragionamento del sindaco. Diventato il miglior difensore del partito proprio alle soglie della sua rottamazione.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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