Daccordo, adesso è il presidente del partito, ma non è che fino a mercoledì pomeriggio fosse un militante qualunque. Non deve giustificare i galloni appena ricevuti. È ancora il capo, e per consultare il suo stato maggiore gli basta alzare il telefono. Umberto Bossi è la Lega, e la Lega è Bossi. Il Senatur è in servizio permanente effettivo della sua traballante creatura. Eppure, eccolo il sabato mattina in via Bellerio, come uno stagista che vuole mettersi in mostra.
Il sabato la palazzina giallognola alla periferia di Milano è chiusa. Lo era anche ieri, un sabato speciale, la vigilia di Pasqua. Deserta, finché non è arrivata lauto presidenziale. A Bossi non basta telefonare, deve esibirsi. Deve ricevere il saluto dei militanti, deve vedere lo sventolio delle bandiere padane e mostrare che nemmeno il sabato santo la Lega, in queste condizioni, va in vacanza. Forse vuole anche cominciare a mettere una certa distanza tra sé e la famiglia, moglie e figli finiti nei fascicoli compromettenti di tre procure, che gli devono aver nascosto troppi segreti. Meglio far capire che - da adesso, almeno - casa e partito sono due cose diverse. La sera a Gemonio, di giorno in via Bellerio, nel suo ufficio, la sua vera dimora.
Laltra sera Umberto Bossi aveva lasciato la sede della Lega Nord verso le dieci e mezzo. Orario insolito per lui. Ma è ancora più insolito che ieri mattina, dodici ore dopo, fosse di nuovo lì, pronto a ricevere i suoi colonnelli. Li ha chiamati lui. Il Senatur non ha perso il fiuto. Sa che per il Carroccio sono frangenti delicatissimi. Nonostante la reazione orgogliosa di molti militanti, si rischiano fratture se non una spaccatura, una scissione. I fedelissimi, che poi sono gli aspiranti alla sua poltrona, sgomitano. La pressione di quanti vogliono pulizia senza riguardi per nessuno, compreso Renzo «Trota» e Rosi Mauro, è crescente.
Di questo repulisti si fa portavoce Flavio Tosi, sindaco di Verona e alfiere di Roberto Maroni: «Come si fa a fare pulizia? Basta vedere i soldi usciti dalla Lega e chi li ha utilizzati, e quelli se ne vanno dal partito». Semplice. Quanto ai presunti rapporti con la criminalità organizzata, «se fossero verificati sarebbero di una gravità inaudita», dice Tosi. Che vorrebbe dettare la linea al Senatùr: «Se fossi nei panni di Bossi, chiederei di vedere le carte per rendermi conto della situazione e capire se e cosa gli è stato nascosto in questo periodo».
E lUmberto, che dice? «Lunica cosa che posso fare adesso è cercare di tenere unito tutto, tenere unita la Lega, evitare che ci siano scontri tra i dirigenti», dice al telefono allagenzia Ansa. Lo ammette lui stesso: cè il rischio che le seconde file del partito vengano ai ferri corti. La guerra di successione è aperta, cè già chi - come Roberto Maroni - parla da leader in pectore. Ora che è presidente del partito e non più segretario, il leader leghista si è ritagliato un compito di mediazione dietro le quinte. Loperatività è in mano a un triumvirato e ai collaboratori storici: «Li aiuto un po, faccio quello che posso», dice. Un lavoro oscuro. Ma si deve sapere che Bossi non ha lasciato il campo.
«Io adesso devo stare lontano, non posso fare altro - ha aggiunto ieri mattina il Senatur - Devo stare un passo indietro, hanno tirato dentro i miei figli in questa cosa tremenda». Non spetta a lui occuparsi di fare pulizia nei conti della Lega: «È già in atto la pulizia, cè già chi la deve fare», taglia corto. «Certo che sento laffetto dei militanti. Tanti insistono perché martedì sera vada a Bergamo alla manifestazione che stanno organizzando... Non so se andrò, vedrò». Sono passate da poco le cinque e mezzo quando il Senatùr lascia via Bellerio.
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