Roma - Da sempre Dario Franceschini è un ragazzo che studia. Negli ultimi quattro anni, da presidente della Camera. Nelle ultime due settimane, considerata la felice congiunzione tra astri politici e ambizioni personali, s'è concentrato sui discorsi d'insediamento di tutti presidenti di Montecitorio, prontamente recapitatigli a fine febbraio da un commesso della Biblioteca parlamentare. Busta sigillata, ma non abbastanza.
Allo storico portavoce di Franceschini non è rimasto che sorridere e allargare le braccia di fronte all'evidenza di un capo secchione che non vuole lasciare nulla al caso. Incurante persino della cattiva sorte toccata in successione agli ultimi cinque inquilini vip di Montecitorio: tre spariti dalla politica, due condannati all'irrilevanza. Pivetti, Bertinotti e Fini; Violante e Casini: la poltronissima della Camera non porta affatto buono. Eppure nelle ultime quarantott'ore i giochi per ottenerla si sono avviluppati con le tre partite fondamentali: Senato, Palazzo Chigi e Quirinale.
Un acrostico bizzarro nel quale la casella «numero uno» ha sede a Palazzo Madama. L'assenza di una maggioranza renderà il Senato un laboratorio dal quale verrà fuori il primo pezzo del Frankenstein della legislatura. Lo schema classico, se vogliamo realistico, ovvero quello rimesso in moto dal presidente Napolitano, prende atto dell'indisponibilità dei grillini a conformarsi alla politica italiana e, semplicemente, ne fa a meno. Il punto di equilibrio tra gli schieramenti rimasti in gioco, allora, finisce per essere costituito da Scelta Civica di Monti. Con due candidati capaci di riscuotere, magari al quarto scrutinio di ballottaggio, una maggioranza: Mario Mauro oppure lo stesso Monti. Quest'ultima soluzione avrebbe più d'una controindicazione: è senatore a vita, premier ancora in carica e si sente in corsa per il Colle. Per la prima delle circostanze, esiste un solo precedente: quello di Amintore Fanfani, nominato da Leone senatore a vita il 10 marzo del '72, ma quando era già presidente del Senato e si apprestava a concludere il proprio mandato (l'anno successivo). Mauro, superate alcune perplessità del Pdl (molti lo considerano ancora un «traditore»), viene ritenuto dal Pd «bravo» e «male minore». Lo schema avrebbe il pregio di trovare sbocco al gran studio di Franceschini, ma metterebbe in sofferenza il Pd. Costretto a immaginare una collaborazione con il Pdl, e di fatto seppellendo la linea seguita da Bersani. I cui «otto punti» non a caso ieri sono stati bocciati da Monti. Governo «di scopo» affidato a un tecnico o «governissimo» (con Renzi o un altro) le conseguenze logiche. Per il Quirinale, giochi aperti a tutto campo.
Ma l'inventiva italica ha abituato a ben altro. E il voto per M5S è stato anche un prodotto di «fantasia», come ha detto pure Casaleggio. Lo schema «rivoluzionario» cui anche ieri hanno lavorato i pontieri ufficiali del Pd (Zanda, Calipari e Zoggia), ma soprattutto i livelli superiori, prevede il voto per un esponente del partito che ha preso più voti alla Camera. La riunione dei grillini di ieri pomeriggio ha testimoniato come il passaggio sia cruciale e concreto: oltre cinque ore di «assemblea permanente» con tanto di caccia al «giornalista infiltrato» (una cronista in effetti è stata scovata e mandata via sotto un coro di irrisione). Nessun accordo con nessuno, nomi dei papabili custoditi gelosamente fino a oggi. Per la Camera gli accreditati sono la 25enne Marta Grande e il 38enne Roberto Fico. Ma al Pd non basterebbe astenersi: sarebbe costretto a rendere omaggio con un voto a favore. Omaggio che potrebbe essere non corrisposto al Senato, dove i grillini voteranno di sicuro un candidato di bandiera (almeno fino al ballottaggio). E poltrona negata di sicuro ad Anna Finocchiaro, ma più vicina per l'ex procuratore capo di Palermo Pietro Grasso (abbastanza gradito al Pdl).
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