Giù alla Camera, più giù al Senato: Antonio Ingroia incassa il fiasco della sua lista, che fa il vuoto di consensi, e s'interroga sul suo futuro. Deve fare ordine nel guardaroba, capire che cosa buttare via. La toga, messa via solo per tentare la (s)fortuna alle urne? L'abito da leader politico, già sfilacciato dopo due mesi? Il completo coloniale, quasi nuovo, da funzionario Onu in Centroamerica? Ingroia sembra voler tenere tutto. Ieri il pm in fuga dalla trattativa Stato-Mafia convertito alla rivoluzione (civile) non ha rassegnato le dimissioni dal suo nuovo ruolo, annunciando che già da oggi avrebbe lavorato a rilanciare il partito. Concetto ribadito via tweet: «La nostra rivoluzione civile non si ferma qui».
Addio toga, dunque? Sul punto le dichiarazioni di Ingroia, fresco di trombatura, più piglio rispetto allo slang di Crozza (indicato paradossalmene come «colpevole» del fallimento al Nord dal candidato Gianfranco Mascia, che ha anche sostenuto che l'onnipresente Ingroia sia stato «nascosto» dai media), sembrano confermare: «Considero la strada che ho intrapreso senza ritorno rispetto al ruolo di pm». Una presa di posizione cristallina. O forse no. L'ex-non-ex pm prosegue: «Non mi dimetterò dalla magistratura». Dopo la magistratura politicizzata, ci mancava il magistrato leader politico. Non pm, però, o almeno non a Palermo. Tornare lì persino per lui è «impensabile». Oltre che fuori legge. Il magistrato in aspettativa-ex candidato premier Ingroia poi passa al plurale maiestatis: «Siamo in attesa dei risultati definitivi, faremo le valutazioni e poi decideremo». «Valuteranno» un ritorno in Guatemala? Le sue «decisioni private», spiega, saranno notificate «quando opportuno». Insomma, grande è la confusione sotto il cielo rivoluzionario civile, se Ingroia «valutano» di violare i regolamenti Onu - che richiedono assoluta terzietà agli incaricati e discrezione comunicativa - tornando in Centro America con le mostrine da leader di partito. Per non dire dell'intenzione di restare in magistratura, stigmatizzata dal consigliere laico del Csm Nicolò Zanon. «Chi si è candidato a premier con tale sovraesposizione - spiega il consigliere in quota Pdl, nemico giurato delle toghe col debole per la tv - dovrebbe dimettersi dalla magistratura. Non può fare il pm non solo in Sicilia ma in nessun'altra parte del Paese. Per le attuali norme dovrebbe fare il giudice ma sembra un paradosso, visto che il giudice per Costituzione è terzo e imparziale».
L'aspirante politico con la toga inviato per conto delle Nazioni unite, poi, ci sarà rimasto male per il voltafaccia del «grande sponsor» del suo movimento politico, il sindaco di Napoli ed ex collega Gigi De Magistris. Dopo aver suggerito a Napolitano di affidare a Grillo l'incarico, il sindaco ha silurato Rivoluzione Italiana: «Ha candidato persone espressione della vecchia politica» e «non ha rappresentato il cambiamento vero». Insomma, «Rivoluzione Civile è finita», «non ha futuro», ha tagliato corto lui che l'ha appoggiata col pugno chiuso insieme al giornalista di Servizio Pubblico, Sandro Ruotolo. Ora l'ex pm catanzarese, abituato a voltare le spalle ai fan e a essere mandato a quel paese da chi aveva inizialmente sponsorizzato (è successo prima con Grillo, con la gip Clementina Forleo, col giornalista Carlo Vulpio, con Roberto Saviano) si smarca dal flop di RC per non accreditare quel buco nell'acqua come referendum sul suo indice di gradimento.
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