Roma in apnea, l'Italia affoga: sono quasi 500 le città già fallite

Non c'è solo la Capitale a rischio, dal 1998 si moltiplicano le giunte in bancarotta I debiti? Ripianati dallo Stato. E nel Mezzogiorno c'è chi è finito in default due volte

Il sindaco di Roma, Ignazio Marino
Il sindaco di Roma, Ignazio Marino

Il governo salva Roma, ma ammazza l'Italia. Nel Milleproroghe non c'è scritto, ma il principio per cui ogni volta che un Comune va gambe all'aria c'è sempre Pantalone che scuce denari è ormai legge. Nulla a che vedere con l'America e la serietà yankee: negli States chi sbaglia paga e i cocci sono suoi. Come a Detroit, la capitale di uno dei più importanti distretti industriali del mondo. Famosa per le sue automobili e, adesso, per il suo fallimento: chi la governava è riuscito nell'impresa di accumulare debiti per 18 miliardi di dollari. Accertata la bancarotta, perché da quelle parti così si fa, il giudice federale ha nominato un curatore fallimentare, autorizzandolo ad avvalersi dell'undicesimo titolo del Chapter 9, la legge che regola la ristrutturazione del debito per le municipalità. E lui, il curatore, Kevin Orr, s'è presentato mostrando il suo biglietto da visita: «Non sono un politico. Ecco perché il mio obiettivo sarà quello di ripianare il debito facendo pagare chi può farlo e che, troppo spesso, in questa città si è sentito tutelato proprio dalla politica». L'avesse detto nel Belpaese, sarebbe stato linciato vivo. Dal 1989 al maggio scorso, ha segnalato ad agosto la Corte dei Conti nella sua relazione sulla gestione degli enti locali, sono stati 479 i Comuni che hanno dichiarato il dissesto finanziario, incapaci di assicurare le funzioni e i servizi indispensabili e sommersi dalle pendenze: 138 in Calabria, 123 in Campania, 45 nel Lazio, solo 4 al Nord (Alessandria, Barni, Riomaggiore, Castiglion Fiorentino). E qualcuno ci ha preso gusto, ripetendo l'esperienza con un dissesto bis: così a Santa Venerina, nel Catanese, dove il default dichiarato nel 1994 è stato replicato nel 2013, ed a Rionero Sannitico (alle porte di Isernia), Lauro, Arpaia, Casal di Principe, Casapesenna, Roccamonfina (cinquina campana), Lungro, Paola, Guardavalle, Scilla e Soriano (queste ultime calabresi). Fino al 2001 per tutti ha pagato per lo più lo Stato. Lo stesso che negli anni ha imposto tagli ai trasferimenti e nuovi tributi locali, moltiplicando i fallimenti. Poi Roma s'è messa da parte. Meglio, di lato. Ma giusto un po'. Perché in più occasioni, come ha ricordato la Corte dei Conti, «il legislatore statale è intervenuto prorogando precedenti termini ed estendendo il sostegno straordinario a molti dissesti», e perché in alcuni casi, ad esempio in Sicilia, è stata la Regione a coprire i buchi, «con l'erogazione di contributi straordinari». Tuttavia, poiché con la declaratoria di dissesto qualche guaio ora lo si passa, ed all'incandidabilità si aggiunge per gli amministratori il rischio di essere inseguiti coi forconi dai cittadini-contribuenti imbufaliti per i nuovi salassi da sopportare per ripianare il deficit, sempre più di frequente ci si ferma un passo prima, aderendo alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale. In altri termini, si accetta un controllo più penetrante sui bilanci e sulla programmazione finanziaria da parte della Commissione per la finanza (un organismo istituito presso il Ministero dell'interno) in cambio dell'accesso al fondo di rotazione sovvenzionato, manco a dirlo, da Roma pagona. E la moda prende piede: nel 2012 sono state 47 le domande di accesso alla procedura di riequilibrio (9 delle quali respinte). Ne hanno beneficiato Napoli, Catania, Messina, Reggio Calabria, Cosenza e Foggia ma anche, dall'altra parte dello Stivale, Campione d'Italia e la livornese Porto Azzurro e, nel mezzo, Chieti, Villalago e Pacentro (nell'Aquilano). E con loro diverse province: Catania, Potenza e Chieti. Tutte insieme s'aspettano più di mezzo miliardo di euro, la metà dei quali richiesti da Napoli.

Pantalone non ha ancora detto sì, ma difficilmente potrà dire no: se pure la Corte europea dei diritti umani (lo scorso settembre) ha sentenziato che lo Stato è tenuto a garantire il pagamento dei debiti contratti dai Comuni in rosso, non c'è alternativa. Gli italiani, fessi e contenti, continueranno a pagare. Ed a guardare l'America col binocolo.

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