Viaggia veloce verso la sentenza fissata per il 18 luglio il processo d'appello a Silvio Berlusconi per il «caso Ruby», in un clima - almeno per ora - lontano dalle polemiche, dagli scontri a scena aperta e dai sospetti reciproci che avevano costellato il processo di primo grado. Al punto che i difensori del Cavaliere si preparano a rinunciare alla riapertura del processo e alla richiesta di sentire altri testimoni, convinti che per dimostrare l'innocenza del loro assistito siano più che sufficienti le prove raccolte in primo grado: che non dimostrerebbero affatto, secondo loro, la colpevolezza dell'imputato ma esattamente il suo contrario. «Giuridicamente parlando, abbiamo davanti un'autostrada per chiedere l'assoluzione», dice Filippo Dinacci. E Franco Coppi, anche se scaramanticamente dice che «può finire in qualunque modo», annuncia ieri alla Corte d'appello che per la sua arringa «potrebbero bastare tre ore». Un tempo singolarmente breve, a conferma che le incongruenze della sentenza di condanna sono, per i legali di Berlusconi, talmente macroscopiche da non richiedere troppe chiacchiere.
In aula non c'è Ilda Boccassini, l'accusa è rappresentata dal procuratore generale Pietro de Petris. E non ci sono sui banchi della difesa Niccolò Ghedini e Piero Longo, legali storici del Cavaliere, che dal processo in primo grado sono usciti anche loro incriminati. Hanno riflettuto a lungo sul da farsi, Ghedini e Longo. Non hanno voluto rinunciare al mandato, ritenendo di non avere fatto nulla di male. Ma era necessario un gesto per svelenire il clima. Così, dopo una serie di contatti con i giudici e la Procura, si è arrivati alla mediazione: i legali di fiducia restano formalmente loro, ma di fatto in aula verranno sostituiti da Coppi e Dinacci. E saranno Coppi e Dinacci, il prossimo 15 luglio, a prendere la parola per le arringhe. A Dinacci la parte giuridica, a Coppi il compito di demolire la ricostruzione dell'accusa.
Ce la faranno? Dei due reati per cui Berlusconi è stato condannato a sette anni di carcere, concussione e utilizzo della prostituzione minorile, i legali sono convinti di poter dimostrare la inconsistenza, o almeno la insufficienza di prove. Hanno passato a matita blu la sentenza di condanna del giugno scorso. Hanno scovato punti dove diranno che la verità emersa nel processo è stata travisata dai giudici: come quando, per dimostrare il pressing di Berlusconi sulla questura milanese per il rilascio di Ruby, la sentenza parla di una grande quantità di telefonate, mentre di chiamata ve ne fu una sola, anche perché poi l'aereo di Berlusconi decollò: e lo stesso destinatario, il vicequestore Ostuni, l'ha descritta più come una segnalazione che come una pressione. E lo stesso vale per i contatti sessuali tra Berlusconi e Ruby, di cui - in assenza totale di testimoni oculari - l'unica traccia resta una mezza frase di Ruby in una intercettazione, in mezzo a una montagna di palesi invenzioni.
I legali sanno che una assoluzione piena di Berlusconi, anche se giuridicamente motivata, scatenerebbe un putiferio. Un giudice maturo ed esperto come Enrico Tranfa non se ne preoccuperebbe più di tanto. Ma se non si dovesse arrivare al successo pieno, la speranza è che venga almeno cancellato il reato di concussione, il più grave, che la legge Severino ha sostanzialmente modificato.
Resterebbe in quel caso la condanna per i rapporti con Ruby, ma potrebbe ridursi a qualche mese di galera, che - impatto mediatico a parte - non cancellerebbero l'indulto concesso nel processo per i diritti tv, non farebbero decadere l'affidamento ai servizi sociali e potrebbero anch'essi venire scontati in affidamento.Certo, c'è anche la possibilità che il ricorso venga respinto e la condanna a sette anni sia confermata in pieno. Ma è una eventualità cui Berlusconi e i suoi quattro avvocati per adesso non vogliono pensare.
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