Sallusti, legge alla prova del voto Ma l'ostruzionismo non si ferma

La commissione Giustizia del Senato si riunisce oggi. I legali del direttore formalizzano la rinuncia a misure alternative al carcere

Sallusti, legge alla prova del voto Ma l'ostruzionismo non si ferma

«O si approva oggi o la legge passa all'Aula, perché a quel punto, se non riusciamo con cinque ore a disposizione, vuol dire che c'è una tattica ostruzionistica per bloccarla» avverte Berselli, presidente della commissione Giustizia del Senato dove da settimane si discute della norma «salva Sallusti». Da stamattina alle 9.30, per cinque ore, i senatori sono convocati per votare gli emendamenti e scoprire le carte, perché il tempo stringe. Il disegno di legge è già calendarizzato alla Camera per il 29 ottobre, ma per arrivarci deve prima avere l'ok al Senato. E non è scontato, perché c'è, dentro la commissione, un partito trasversale che chiede un inasprimento gravissimo delle pene per la diffamazione, in cambio dell'eliminazione del carcere: sanzioni di 200mila euro, sospensione dalla professione, chiusura temporanea della testata addirittura. Ma il sospetto, anche del presidente, è che si cerchino pretesti per non approvare il testo che salverebbe dal carcere Sallusti, i cui avvocati hanno depositato la rinuncia alle pene alternative.

«Sono disponibile ad arrivare ad una soluzione equilibrata, che ad esempio fissi un minimo per le sanzioni ma non un massimo - dice Berselli - ma se vogliono andare avanti a discutere no, la conferenza dei capigruppo in questi casi, quando un provvedimento urgente si blocca per ostruzionismo, ha il potere di richiamare per l'Aula il testo». Cosa che dovrebbe accadere però in tempi strettissimi, entro la settimana. A meno che non vincano i fan dell'ostruzionismo, che hanno già ottenuto una vittoria: la commissione non è più sede deliberante (cioè abilitata ad approvare una legge senza passaggio in Aula) ma «referente», con relativo allungamento dei tempi.

Uno dei primi firmatari della legge, Maurizio Gasparri, auspica che si arrivi ad una «rapida e saggia sintesi», con entrambi i risultati: eliminare la possibilità di detenzione ed assicurare rettifiche e sanzioni nei casi di diffamazione («Non si può passare dal rischio di arresto al diritto di diffamare»). Il suo cofirmatario però, Chiti del Pd, è pronto a ritirare la firma: «Se per raggiungere un'importante conquista di civiltà si deve far passare, con una sorta di cavallo di Troia, norme che tolgono spazi alla libertà di informazione e stampa, allora ci si fermi». Molti senatori della commissione stanno alimentando il cavallo di Troia, di tutti i partiti. Uno dei più accaniti è il senatore del Terzo Polo, Franco Bruno, che propone come deterrente la «sospensione della testata giornalistica o del sito internet per un periodo tra un mese e tre mesi», nel caso in cui l'omesso controllo sia commesso per sei volte in un anno solare. Lo stesso senatore propone di quintuplicare le pene nel caso di premeditazione, mentre l'ex prefetto Achille Serra, senatore dell'Udc, vorrebbe aggiungere la pena accessoria dell'interdizione dalla professione di giornalista per un periodo fino a sei mesi. Secondo il senatore del Pdl Giuseppe Valentino, se il diffamato non è un cittadino qualsiasi ma un politico, «le pene sono aumentate».

Il senatore dell'Idv Li Gotti, invece, chiede che la rettifica non sia pubblicata entro due giorni, ma per sette giorni consecutivi, e che sia lunga il doppio rispetto all'articolo che l'ha determinata. Altri emendamenti estendono la responsabilità all'editore, prevedendo anche l'interruzione dei finanziamenti pubblici, vitali per alcune testate. Poi ci sono le pene raddoppiate per i giornalisti «recidivi», e si arriva a 200mila euro. Il tutto poi potrebbe estendersi alle pubblicazioni on line, ai blog, secondo un'impostazione seguita soprattutto dal Pdl. Non c'è traccia invece di una norma, prevista dal codice anglosassone, come spiega la Gabanelli di Report (oggetto di querele milionarie): «Lì chi fa una causa temeraria a un giornalista paga, se ha torto, un multiplo di quello che ha chiesto come risarcimento... L'intimidazione alla stampa invece da noi non è considerato reato grave».

Grande impegno per rendere obbligatorie e smisurate le rettifiche, ma nessun obbligo che le rettifiche dicano il vero e non siano solo una difesa d'ufficio (a cui il giornalista avrebbe poi il divieto di controreplicare). «Misure vendicative che mirano a scoraggiare il giornalismo più incisivo e ad incentivare l'ossequio ai poteri», dice la Fnsi, che lancia un presidio al Pantheon.

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