La scelta del venerdì per creare maggiori disagi. In 24 ore, si brucia lo 0,5% del Pil

Non è casuale l'agitazione il giorno prima del weekend. Dopo la pandemia, una media di 1500 stop all'anno: la maggior parte programmata a ridosso del sabato. È arrivato il momento di rivedere la regolamentazione

La scelta del venerdì per creare maggiori disagi. In 24 ore, si brucia lo 0,5% del Pil
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Venerdì nero, venerdì green, sciopero bianco o bollino rosso. Capire perché in Italia sciopero fa rima con venerdì, soprattutto per il settore dei trasporti, non è difficile: è il giorno feriale e prefestivo in cui ne succedono di tutti i coloro perché la gente si muove di più e dunque - è la ferrea logica sindacale - è il giorno della settimana che fa più male agli odiosi padroni, così imparano. Se ben organizzato si mangia in un giorno lo 0,5% del Pil.

Tra il 2010 e il 2020 ci sono stati in media 2.000 scioperi all'anno, tra i 5 e i 6 al giorno (la metà revocati last minute). Dopo la pandemia siamo a 1.500. Quasi tutti di venerdì. Perché in teoria protestano, loro malgrado, anche i lavoratori non militanti, quelli non sindacalizzati. Perché anche i poveri pendolari (se possono) sapendo dello sciopero si organizzano, insomma scioperano con piacere perché si prolunga il weekend. Come no. Qualcuno dovrebbe dire alla Cgil che nelle grandi città, grazie allo smart working, già oggi molti pendolari restano a casa - sciopero o no - perché così le aziende risparmiano. Per non parlare delle partite Iva, costrette a tenersi i figli a casa perché la scuola è chiusa e i mezzi non circolano.

La stringente logica sindacale è: più gente partecipa, quindi più disagio creo, meglio è, perché l'azienda farà di tutto per evitarlo, e chi se ne frega se il Pil ci rimette. Così la pressione sulle imprese è maggiore, ma solo per il sindacato che lo indice. Non certo per i lavoratori. Altro che una «soglia minima» di iscritti per decidere uno sciopero (come aveva ipotizzato l'allora viceministro al Lavoro Michel Martone nel 2011), basta un ragionevole anticipo per la sua proclamazione. Ma da tempo l'alibi del venerdì perfect day per lo sciopero ha perso credibilità, ammesso che questa teoria ne abbia mai avuta. Figurarsi dichiarare per venerdì 17 uno sciopero generale, come hanno fatto Cgil e Uil, senza i presupposti previsti dalla legge. Il Garante degli scioperi lo ha confermato, tanto che la Cisl con Luigi Sbarra si è sfilata per tempo: «Noi rispettiamo le regole», ha detto. Lo teorizzava anche Lev Trotskii: uno sciopero sbagliato indebolisce gli operai. E poi, chi «sciopera» veramente? Quante volte abbiamo sentito le storie dei furbetti che proclamano l'agitazione poi si mettono di turno per verificare che l'adesione sia stata massiccia? Quante volte abbiamo sentito sigle minuscole e poco rappresentate minacciare lo sciopero? Il solo effetto annuncio crea le precondizioni del caos. Siccome il tram potrebbe non funzionare, la compagnia aerea potrebbe non garantire i voli, prendo l'auto. Poi i tram girano, vuoti. Ma «l'importanza sociale di uno sciopero dipende da quanto sono organizzati, disciplinati e pronti all'azione chi protesta», scriveva Trotskii.

Fatto 100 il numero di chi sciopera, neanche l'1% scende in piazza. A protestare per cosa? Chi sa il perché dell'ultima agitazione? Soldi? Orari? I sindacati lamentano che la precettazione «fascista» decisa dal ministro dei Trasporti Matteo Salvini per salvaguardare la mobilità delle persone incide sul diritto di sciopero e che la scelta del Garante di non riconoscere la protesta come uno «sciopero generale» è un regalo all'esecutivo, nonostante la precisazione del Garante: «Non è in discussione l'esercizio di un diritto ma l'osservanza delle regole che ne garantiscono il contemperamento con i diritti costituzionali della persona», recita il comunicato, come previsto dall'articolo 40 della Carta («Lo sciopero si esercita nell'ambito delle leggi che lo regolano»).

Basterebbe leggere cosa scriveva nel 1954 Pietro Calamandrei, non certo un pericoloso menscevico, sul «significato costituzionale» dello sciopero: «Dal momento in cui ha accettato di diventare un diritto, lo sciopero si è adattato necessariamente a sentirsi prefiggere condizioni e restrizioni di esercizio che, se non venissero stabilite per legge, dovrebbero essere tracciate prima o poi, sulla base della Costituzione, dalla giurisprudenza». Chissà che non sia arrivato il momento.

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