LO SCONTRO A BRUXELLES

È andata come voleva Angela Merkel, si è realizzato lo scenario peggiore per il premier britannico David Cameron. Ma non si sono concretizzati nemmeno i piani dell'Italia e in particolare quelli del premier Matteo Renzi. Jean-Claude Juncker, candidato dei popolari alle ultime elezioni, fortemente sponsorizzato dalla cancelleria di Berlino, è stato designato a presidente della Commissione europea con il sì di 26 Paesi membri su 28. Ha incassato l'appoggio di tutti tranne Regno unito e Ungheria, primo capo del governo europeo senza unanimità.
Si è espressa a favore anche la delegazione di Palazzo Chigi, che però ha perso al tavolo più importante per l'Italia. L'Europa non ci concederà una maggiore flessibilità sui conti pubblici (era la condizione del premier italiano per l'appoggio a Juncker). Tutte le scelte di politica economica, dovranno essere prese nel rispetto dei vincoli del Patto di stabilità e crescita, così come avviene oggi. Nessuna concessione se non una vaga disponibilità a valutare le riforme. Comunque un «svolta», anche se da concretizzare, nei commenti post trattativa dello stesso premier. «Per la prima volta - ha assicurato Renzi - il focus è la crescita e chi fa le riforme strutturali avrà diritto alla flessibilità». «Un quadro di austerità invariato, cortine fumogene a parte», secondo il presidente della commissione Finanze della Camera Daniele Capezzone.
Il Consiglio europeo era stato prolungato anche ieri, dopo un primo nulla di fatto alla seduta di giovedì. Nel pomeriggio l'investitura ufficiale di Juncker. Il politico lussemburghese sarà il successore di José Maria Barroso, dopo la ratifica da parte del Parlamento europeo, un voto che non dovrebbe riservare sorprese. Hanno votato contro il premier britannico David Cameron e il presidente ungherese Viktor Orban. Il no di Londra pesa, tanto che il cancelliere tedesco è arrivato a dire che «terremo conto dei timori» di Cameron e che ci potrà essere un Europa «a due velocità».
Rimangono tutte le altre caselle da riempire, compresa quella importante del presidente del Consiglio europeo (l'organismo che riunisce i governi dei paesi membri). Potrebbe essere socialista, ha spiegato il premier, ma non Enrico Letta, come hanno ipotizzato ieri alcuni giornali italiani. Impossibile avere contemporaneamente la poltrona del consiglio e quella della presidenza della Bce, ha spiegato Renzi. Poi, «nessuno ha fatto il suo nome» al consiglio, ha assicurato.
La decisione verrà presa il 16 luglio in un altro vertice, dove saranno decise anche le altre nomine nella Commissione. Renzi continua a puntare su Federica Mogherini come Alto rappresentante per la politica estera dell'Ue; se ne parlerà al consiglio dei ministri di lunedì.
Ma il principale obiettivo per il governo resta quello di ottenere maggiori margini sui conti pubblici. Renzi ha giocato la partita per la poltrona di presidente, in modo da ottenere un allentamento del Patto.
Il tenore delle decisioni prese ieri, presentate da fonti del governo come un parziale successo, si capisce dalla spiegazione data da Merkel: «Le conclusioni del Consiglio europeo indicano chiaramente che il patto di stabilità deve essere applicato pienamente e contiene flessibilità sufficiente tenuto conto delle esigenze della crescita».
Sfuma lo scambio riforme-allentamento del Patto che in Italia veniva dato praticamente per certo. La formula scelta è che della flessibilità si dovrà fare «il miglior uso possibile». Cosa andrà bene e cosa no, lo deciderà la Commissione europea.

In sostanza il governo non avrà la possibilità di mettere a bilancio provvedimenti per la crescita che comportino un aumento del deficit. Margini di autonomia sui quali Renzi contava molto, ma che non sono concessi a un paese con un debito alto come il nostro.

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