Semipresidenzialismo, sì al Senato Il voto Pdl-Lega manda in tilt il Pd

Semipresidenzialismo, sì al Senato Il voto Pdl-Lega manda in tilt il Pd

RomaLa maggioranza uscita dalle urne - la versione originale, quella composta da Pdl più Lega - torna a fare politica e mette a segno il suo affondo. Un doppio colpo battuto al Senato con l'approvazione del semipresidenzialismo alla francese e l'abolizione del bicameralismo perfetto, in anticipo di 24 ore rispetto alle previsioni. Un voto che sancisce la centralità degli ex alleati tornati, almeno per un giorno, a dettare la linea. E che dimostra come la maggioranza, almeno al Senato, sia ancora fortemente salda nelle mani dei parlamentari del centrodestra.
La prima votazione arriva in tarda mattinata. Il Senato approva l'articolo 7 del ddl riforme che sancisce la fine del bicameralismo perfetto, in favore di una diversificazione per competenze tra Senato e Camera. A favore votano 120 senatori (Pdl e Lega), 23 i contrari e 11 astenuti. I senatori del Pd e di Idv si allontanano dall'aula in segno di protesta. Il via libera al semipresidenzialismo arriva, invece, all'ora di pranzo con una serie di votazioni lampo nel giro di mezz'ora. La norma passa con i voti di Pdl, Lega e Coesione nazionale. Giuseppe Pisanu e Giuseppe Saro del Pdl si astengono. Pd e Idv abbandonano nuovamente i lavori mentre Udc, Api votano contro con Fli che si astiene.
«Il presidente della Repubblica è eletto a suffragio universale e diretto. Sono elettori tutti i cittadini che hanno compiuto la maggiore età», recita il testo dell'articolo presentato da Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello, che propongono anche un emendamento secondo cui il Presidente della Repubblica non sarà più capo del Consiglio superiore della Magistratura. Il pacchetto di norme stabilisce anche che «il presidente della Repubblica, in carica per cinque anni è il capo dello Stato e presiede il Consiglio dei ministri salvo delega al primo ministro». Il capo dello Stato conserva il potere di nomina del primo ministro che propone la nomina e la revoca dei ministri.
Il problema ora è superare lo scoglio del voto alla Camera. Pd e Udc, infatti, sono fermamente contrari all'idea di consegnare al popolo la possibilità di scegliere il capo dello Stato. Il Pdl proverà ad appellarsi alla coerenza dei deputati di Futuro e Libertà, visto che molti di loro ai tempi di Alleanza nazionale fecero del presidenzialismo una vera e propria bandiera. «Ora tocca alla Camera. Speriamo che il Pd non faccia perdere questa occasione all'Italia perché l'anno prossimo di questi tempi potremmo avere un presidente eletto dal popolo. Si tratta di una grande chance per il Paese, un fatto storico» commenta il segretario Pdl, Angelino Alfano. «Il presidenzialismo è una scelta che guarda al futuro, a un rafforzamento della democrazia diretta» aggiunge Maurizio Gasparri. «Abbiamo fatto la nostra parte contro i professionisti del tirare a campare che amano dare lezioni di riformismo» chiosa Mariastella Gelmini.
Il Pd, con tanto di Cgil di supporto, è però già sulle barricate. Prova a far saltare il tavolo per un voto sbagliato che parla di «Commissione paritetica per le questioni regionali». Un articolo da considerarsi decaduto dopo l'approvazione del Senato federale. Ma l'argomentazione è debole. Poi inizia il suo fuoco di sbarramento a colpi di dichiarazioni.

Si va dal «diversivo senza costrutto» di Bersani agli strali della Finocchiaro, tutto nel nome del solito ritornello dell'«uomo solo al comando». Un concerto di voci con sfumature diverse ma con un unico messaggio: passate le riforme, la sinistra le ucciderà.

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