Da Costa a Sanna Marin, l'eterno flop degli eroi dem: sinistra italiana senza papa straniero

Stati Uniti, Inghilterra, Spagna, Germania, Francia, Grecia: sono tanti i modelli a cui la sinistra italiana si è voluta aggrappare, ma sempre in maniera fallimentare

Da Costa a Sanna Marin, l'eterno flop degli eroi dem: sinistra italiana senza papa straniero

Se c'è stato un vero grande problema che ha storicamente afflitto la sinistra italiana in tutti questi decenni, causandone guai politici a ripetizione, quello è sicuramente stata l'inesistenza di una propria identità ben visibile e consolidata. Basta riavvolgere il nastro - e nemmeno di troppi anni - per osservare i vari tentativi operati dai vari leader del Partito Democratico nell'assomigliare a una figura carismatica che, nel resto dell'Occidente, incarnasse il volto vincente delle forze progressiste contro quelle più liberali e popolari.

A volte bastava uno slogan ("Yes, we can") per ripercorrere i fasti dei democratici negli Stati Uniti, in altre circostanze ci si aggrappava a un fantomatico "modello" (solitamente quello spagnolo, spesso e volentieri evocato come elemento salvifico per la compattezza del Pd) per far finta di sentirsi politicamente vivi. Altre ancora, è stato il volto mediatico famoso ad accendere le speranze del popolo della sinistra: peccato che appena l'idolo di turno entrava nelle stanze del palazzo, ci si rendeva conto di avere davanti a sè un Re Mida al contrario, presto caduto in disgrazia e costretto alla "damnatio memoriae" dal suo stesso partito di appartenenza (ogni riferimento ad Aboubakar Soumahoro è puramente causale).

L'elenco infinito di nomi bruciati a sinistra

Passano gli anni ma anche i "nuovi che avanzano" (o che sono avanzati) a sinistra continuano a commettere gli stessi errori di comunicazione in cui già molti altri loro "illustri" predecessori erano caduti. Da Veltroni a Letta, passando per Bersani e Zingaretti: tutti a magnificare un improbabile "Papa straniero" (e in questo caso calza proprio alla perfezione) per autoconvincersi che anche loro non sono da meno in quanto a capacità nel governare un Paese. Recentemente è toccato anche alla Schlein, fotografata con un sorriso raggiante al fianco della ministra spagnola del Lavoro uscente, Yolanda Díaz, alla festa dell'Unità per sostenere che "abbiamo battuto la destra grazie al salario minimo".

Il giochino è sempre lo stesso: collezione delle figurine di "grandi" esponenti internazionali di sinistra per darsi forza e per potere sostenere che, se c'è l'hanno fatta loro a trionfare elettoralmente nel proprio territorio di competenza, allora anche i dem possono sognare di scalzare la destra dal governo italiano. La formula magica è costantemente: "La sinistra riparta da...". Non fosse per l'irrilevante dettaglio che il Partito Democratico non ha mai vinto una sola elezione da quando è nato.

Almeno, quindi, per una mera questione di scaramanzia sarebbe meglio adottare una strategia del genere. E invece no. Come diceva il compianto giornalista Curzio Maltese, la sinistra è una "coa(li)zione a ripetere". I dem non capiscono proprio che non è possibile applicare una medesima attività politica e governativa in più Stati: le condizioni tra Paesi - anche se confinanti - sono sempre inevitabilmente diverse l'uno dall'altro. E poi, se si dovesse scorrere la lista dei nomi per i quali il Partito Democratico italiano si è giocato la carta dell'endorsement, scopriremo che nessuno di loro ha avuto in passato una buona sorte lunga e duratura. Zapatero e Hollande se ne sono dovuti andare via a gambe levate dopo i loro pessimi governi rispettivamente in Spagna e Francia, Obama ha avuto talmente tanto successo negli Usa che gli americani hanno scelto Donald Trump come suo immediato successore, Corbyn non ha mai toccato palla in Gran Bretagna, Sanna Marin è durata giusto mandato presidenziale finlandese e su Tsipras in Grecia è meglio stendere un velo pietoso.

Su quale "cavallo" puntare ora?

Oggi, a essere sinceri, è assai complicato stabilire da chi si possa "ripartire". Joe Biden sta calando sensibilmente nei consensi in vista delle prossime elezioni presidenziali tra un anno esatto e in molti non vedrebbero di buon occhio una sua ricandidatura, viste anche l'età non più giovanissima e le capacità cognitive non esattamente lucidissime. In Francia il raggruppamento delle sinistre progettato da Jean-Luc Mélenchon si sta sfasciando. La socialdemocrazia tedesca di Olaf Scholz regge a malapena, con Ricarda Lang (leader Verdi tedeschi) che è scomparsa dai radar. Il socialista Pedro Sánchez resterà al comando soltanto grazie all'appoggio dei separatisti catalani.

Il leader del Labour Party, Keir Starmer, è un follower sfegatato del blairismo. Il nuovo leader dell'opposizione di sinistra in Grecia, Stefanos Kasselakis, ha un curriculum da imprenditore e finanziere di successo (in America) per è difficile da decrittare per i cittadini greci, (figuriamoci) per gli italiani. Restava giusto António Costa su cui contare; ma proprio ieri il primo ministro portoghese si è dimesso perché implicato in un'inchiesta per corruzione.

Il vizio italiano di inciampare continuamente in una sorta di internazionalismo subalterno prima o poi verrà studiato dai più importanti sociologi mondiali. Nel frattempo, si potrebbe adottare una valida alternativa. Per esempio: la sinistra riparta dal... silenzio più assoluto. Giusto per vedere l'effetto che fa.

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