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La solita voglia di ribaltone maledizione per la sinistra

C'è aria di "colpo di palazzo" ai danni di Berlusconi. Un film già visto con Dini, D'Alema e Monti. Ma la scorciatoia non ha mai portato fortuna

La solita voglia di ribaltone maledizione per la sinistra

Se davvero qualcuno pensa di imbastire un nuovo governo e una nuova maggioranza senza il Pdl, è consigliabile, prima di procedere oltre, un breve ripasso della storia politica recente, dove ribaltoni, cambi di casacca e tradimenti più o meno plateali sono fioriti rigogliosamente in quasi ogni legislatura. E ogni volta è andata male a chi li ha organizzati, diretti o magari soltanto appoggiati.
Il primo ribaltone - il padre di tutti i ribaltoni, che segnò l'inizio della Seconda Repubblica e il conio della fortunata espressione - risale come tutti ricordano alla fine del 1994. La Lega, che faceva parte del Polo delle libertà insieme a Forza Italia e An, lasciò bruscamente l'alleanza e aprì la crisi di governo. Berlusconi chiese le elezioni, ma, già allora in nome dell'emergenza e delle riforme da fare, nacque invece il governo Dini, e con esso la pratica ribaltonista. Dini era il ministro del Tesoro di Berlusconi, e Scalfaro lo convinse a dare vita a un «governo tecnico» appoggiato dal centrosinistra e dalla Lega con l'astensione del Polo. Quando si arrivò alle elezioni, nel '96, il centrosinistra vinse grazie alla corsa solitaria di Bossi, ma Dini prese un magro 4% (pare con l'aiuto del Pds) e si avviò a una carriera notabilare che gli farà cambiare schieramento un altro paio di volte.
Il secondo ribaltone - prontamente ribattezzato «ribaltino» - fu in realtà un auto-ribaltone: alla fine del '98, infatti, Rifondazione comunista ritirò l'appoggio al governo e Prodi fu costretto alle dimissioni. Anche allora, niente elezioni: sotto la regia incrociata di Scalfaro e Cossiga, i voti mancanti di Bertinotti furono sostituiti con quelli di Mastella, che era stato eletto con il centrodestra: così venne alla luce il governo D'Alema. Ma l'esperimento fu tutt'altro che un successo: «Quando ero presidente del Consiglio - ricorderà molti anni dopo D'Alema - avevo una maggioranza ingovernabile, composta da squilibrati degni di attenzione psichiatrica che mi chiedevano di uscire dalla Nato e di dichiarare guerra agli Stati Uniti. Questo ci ha limitato molto». E infatti, dopo un breve governo Amato, nel 2001 il Cavaliere vinse le elezioni: e quella fu l'unica legislatura a durare cinque anni con la stessa maggioranza.
L'ultimo ribaltone - il «ribaltone tecnico» - è storia recente: infiacchito dalla scissione finiana e colpito a morte dall'impennata dello spread, Berlusconi fu costretto alla fine del 2011 a lasciare il posto a Monti e al secondo governo tecnico della Seconda repubblica. Anche in quell'occasione il centrodestra aveva chiesto le elezioni anticipate: che si tennero invece più di un anno dopo e segnarono, a sorpresa, una straordinaria rimonta del Pdl, che pareggiò con un Pd dato vincente da tutti i pronostici.
Le costanti sono due: il ribaltone serve a bloccare, danneggiare, emarginare Berlusconi, subordinando la volontà popolare espressa nel voto al gioco politico-parlamentare; Berlusconi ogni volta, in un modo o nell'altro, se ne avvantaggia in termini di voti e di consenso. Del resto, il ribaltonismo è una variante politica, o per dir meglio parlamentare, del giustizialismo: entrambi falliscono l'obiettivo principale - sconfiggere politicamente Berlusconi nelle urne - e ripiegano su presunte scorciatoie. L'idea che il giudizio di un tribunale sia di per sé un dogma e una verità indiscutibile condivide con il primato della manovra parlamentare sul voto dei cittadini un unico principio di fondo: la volontà popolare è un optional, e in ogni caso è subordinata alle sentenze dei magistrati e alle decisioni dei partiti e dei loro leader.
Il ribaltone, questa volta, tradirebbe il patto originario della legislatura - quello che ha portato alla rielezione di Napolitano - e produrrebbe una maggioranza particolarmente pittoresca: il Pd dovrebbe governare con Vendola, i grillini ribelli, ciò che resta di Scelta civica e qualche transfuga del Pdl. Per fare cosa, a parte mandare in galera Berlusconi? Il quarto ribaltone con ogni probabilità non si farà: più per impossibilità tecnica, a dire il vero, che per mancanza di volontà dei protagonisti (di ex grillini ne servirebbero troppi).

Eppure, basterebbe poco per capire che le elezioni non sono il rimedio di tutti i mali, ma diventano la strada obbligata quando una maggioranza politica si dissolve. Se il Pd non lo capisce, potrebbe prima o poi capirlo Renzi. È una questione di rispetto per gli elettori: e il rispetto, come s'è visto in questi vent'anni, tutto sommato paga.

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