Converrà che si mettano d'accordo. Quelli fuori, i compagni e gli ex compagni di lotta come Mario Borghezio che li vanno a trovare in carcere, e ne escono dicendo che il «tanko», il trattore trasformato in autoblindo, era niente più che un «carro allegorico». E quelli dentro, i secessionisti dell'Alleanza, finiti nella retata di mercoledì scorso, che - come a volte accade - nel ruolo di martiri dell'indipendenza veneta sembrano trovarsi piuttosto loro agio. Almeno a quanto appare dall'interrogatorio di Luigi Faccia, uno dei veterani del gruppo, uno dei tre che aveva già partecipato all'attacco a San Marco del 1997: e che ieri, interrogato dal giudice preliminare, rifiuta come è suo diritto di rispondere alle domande. Ma poi preso da un sussulto di serenissimo orgoglio fa mettere a verbale: «Mi considero prigioniero di guerra».
Non tutti, a dire il vero, sembrano condividere la linea difensiva del leader, ma le conseguenze rischiano di pagarle tutti: perché la sparata di Faccia sembra in qualche modo dare ragione alla Procura, se non sulla reale pericolosità della banda almeno sulla bellicosità dei suoi propositi. Faccia, d'altronde, non aveva molte scelte, viste le intercettazioni: o si dava da solo del mitomane, e spiegava che quando parlava di procurarsi le «beghette» (pistole, secondo il giudice), di «sconfinare nello scontro» per unire «i popoli del Commonwealth veneto», di «prendersi la responsabilità della vita e della morte delle persone» aveva semplicemente alzato un po' il gomito; o si calava in pieno nella parte. Ha scelto la seconda strada. Alla domanda sulla nazionalità, ha risposto: «Veneta». E poi, tutto d'un fiato: «Come responsabile del Veneto fronte di liberazione, servitore della Veneta Serenissima Repubblica - ha detto - mi dichiaro prigioniero di guerra». Non uscirà di galera tanto presto.
Altri, come Lucio Chiavegato della Life, hanno cercato di tirarsi fuor d'impiccio, «quelli lì non li vedevo da un anno». Ma soprattutto, fuori, cresce il fronte di quelli che cercano di riportare tutta la vicenda a una chiacchiera da bar: come fa Mario Borghezio, parlamentare europeo della Lega Nord, che da una parte dice di essere «invidioso di non essere in galera con i patrioti veneti», «sono orgoglioso del loro esempio, vorrei essere dietro le sbarre con loro». Ma poi quando in onda su la Zanzara gli chiedono cosa pensa dei progetti di «beghe» e di «beghette» risponde: «Parlavano di armi? Anch'io quando digerisco male, parlo di notte e posso dire che voglio invadere Marte». Borghezio ha visto in carcere Franco Rocchetta, ex leghista, che i Secessionisti avevano un po' adottato e un po' eletto a padre spirituale. I giudici lo hanno messo in cella insieme a sei stranieri. «Inizialmente è stato un po' freddo, visti i trascorsi infelici nella Lega, ma poi ci ha raccontato il suo percorso negli ultimi vent'anni votato a risvegliare un grande popolo - racconta l'europarlamentare - poi non voleva più lasciarci andar via e nel momento di lasciarlo anche a noi è venuto il magone».
Un appello per la liberazione di Rocchetta era stato lanciato l'altro ieri da Massimo Cacciari e Gianfranco Bettin, esponenti del Pd veneto: «È quanto di più lontano possa esserci da secessionismi e politiche di esclusione e chiusura razzista». Ma il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, non ha preso bene l'idea di riservare al maturo ideologo un trattamento di favore. «Chi, conoscendo bene Franco Rocchetta, non chiederebbe la sua liberazione?», si chiede Zaia.
E aggiunge: «Non capisco tuttavia per quale motivo Rocchetta sì e tutti gli altri incarcerati no. Lo trovo discriminante, a fronte del fatto che larga parte dell'opinione pubblica dimostra di giudicare esorbitante l'utilizzo dello strumento della carcerazione preventiva».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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