RomaUn paio di giorni fa, Stato, hai bussato alla mia porta. L'hai fatto con la faccia feroce e vorace di Mr. Befera. Cartella esattoriale. Già alla vista della busta uno si sente male. Ansia, apprensione, paura. Apro. Ed ecco la botta. Equitalia mi impone di pagare la bellezza di 1.042,56 euro. Già allo «zero virgola cinquantasei» girano gli zebedei. Ma arrotonda no? Colpo al cuore. Un salasso. «Ma perché?!?». Mi dici, Stato, che nel 2010 ho pagato in ritardo l'Irpef relativa al 2009. Trasecolo. Ti ho appena sborsato un salasso di tasse tra Imu, Ires, Ivie e tutti gli acronimi più odiosi, ma correttamente saldati. E ora mi fai scucire altri mille euro e rotti.
Così mi tagli le gambe. Corro a controllare e l'F24 contestato salta fuori. Ebbene sì: nel 2010 ho pagato di Irpef 3.301 euro ma li ho pagati in ritardo di... ben 24 ore. Avrei dovuto saldarti il conto il 16 giugno, ma l'ho fatto il 17. Un giorno dopo, soltanto un giorno dopo. Non sei mesi, non sei settimane, non sei giorni. Un solo minuscolo, banale, insignificante giorno.
Cerco di ricordare come mai ho sgarrato di così poche ore, ma proprio non mi viene in mente cos'è accaduto. Magari due anni fa, quel 16 giugno, mi si è rotta la moto, avevo l'influenza o semplicemente ho trovato fila in banca o magari allo sportello s'è impallato il sistema. Controllo pure se per caso quel 16 giugno era festa, domenica o il Santo patrono di...
Macché: mercoledì. Maledizione. Mille e rotti euro per 24 ore di ritardo. Bile, pessimismo, fastidio.
E poi, diciamolo: sei bizantino perfino quando mi spieghi come fare a pagare la multa. Sette pagine di casistiche, conteggi, riferimenti normativi, terminologie astruse che sfiancano me che sono laureato; figuriamoci la povera vecchietta di Vidigulfo.
Mi scrivi, ad esempio. «Prima di costituirsi in giudizio il contribuente è tenuto a pagare il contributo unificato in base al valore della controversia (art.13, comma 6-quater, del Dpr n.115/2002). Questo valore è determinato secondo le modalità indicate al punto N.B. del paragrafo Dati da indicare nel ricorso e deve risultare da apposita dichiarazione resa dalla parte nelle conclusioni del ricorso, anche nell'ipotesi di prenotazione a debito». (!)
A parte la sfiga: sono finito nel tritacarne di Equitalia proprio io, uno che ha pagato e paga sempre tutto, fino all'ultimo centesimo. Ti pago, Stato, Irpef, Iva, Ivie, Tarsu e perfino il canone Rai. Molti amici mi sbeffeggiano: «Pure la Rai?! Sei proprio svizzero tu eh?». Sì, pago. Mal volentieri ma pago. Ma vedere che tu, Stato pignolo e cavilloso, ti accanisci sul contribuente onesto fa letteralmente saltare i nervi. Perché allora tu, maledetto, devi essere più bello e funzionare meglio di un Patek Philippe. E invece non è così. Per una manciata di ore di ritardo mi multi con tale brutalità? Sarei pure disposto a fare mea culpa e correre a pagare domani stesso, ma allora pretendo che tram, bus e treni spacchino il secondo; che per le vie di Roma si possa mangiar per terra; che per una Tac si attenda un paio di giorni; che saldi immediatamente i tuoi debiti con le aziende di cui ti servi. Invece, i treni arrivano in ritardo e per chiedere un rimborso mi obblighi a gimcane che mi passa la voglia; il centro della Capitale è un cesso di cartacce e rifiuti, per non parlare di Napoli e Casoria; per una risonanza magnetica fai aspettare anni; e dati della Cgia di Mestre tu, Stato, devi alle imprese che hanno lavorato per te, qualcosa come 70 miliardi di euro. Quattro punti percentuali di Pil.
Allora hai voglia a dire che «lo Stato siamo noi». No, non siamo noi. Io mi sento snobisticamente e orgogliosamente diverso. Io il mio dovere lo faccio onestamente. Tu, Stato, no. Qualche volta sbaglio. Come ho sbagliato a pagarti in ritardo per una manciata di ore. Ma tu sei molto peggio di me. Io ti mantengo a costo di sudore e sangue, e tu funzioni poco e male.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.