Cronache

Strage di Erba, riappare un altro teste che scagionerebbe gli assassini

Chemcoum si presentò ai carabinieri di Erba cinque giorni dopo la mattanza dicendo di aver riconosciuto un tunisino e un italiano. Il verbale rimase nei cassetti fino all'udienza preliminare e il teste sparì. Ma le sue rivelazioni di allora potrebbero riaprire la vicenda. Ritorna il giallo delle macchie di sangue "non interpretabili"

Sulla strage di Erba c'è un'altra verità che si sta facendo strada, e non è quella giudiziaria. Nel giro di poche settimane una serie di colpi di scena hanno riportato alla ribalta la mattanza dell'11 dicembre 2006 dove morirono tre donne e un bambino: per la giustizia gli assassini sono Olindo Romano e Rosa Bazzi, condannati all'ergastolo in Cassazione. Ma le tre sentenze contengono ancora molti buchi neri, tanto che persino Azouz Marzouk, marito e padre di due delle vittime, si è convinto dell'innocenza dei due coniugi.

A dar ragione al tunisino non ci sono solo sospetti e coincidenze. C'è un'altro super testimone presente in via Diaz quella notte che disse di aver riconosciuto un italiano coinvolto nella strage. Il presunto testimone oculare si chiama Ben Brahim Chemcoum, pregiudicato senza fissa dimora e svanito nel nulla dopo che i Romano confessarono di essere stati gli autori della strage di Erba.

Secondo le notizie in possesso di «Cronaca Vera» oggi in edicola risulta che Chemcoum è vivo, si trova a Tunisi e risulterebbe raggiungibile. Ma chi è Chemcoum? È l'uomo che si presentò ai carabinieri di Erba cinque giorni dopo la strage, dicendo di aver visto, intorno all'ora della mattanza, due persone di fronte alla corte di via Diaz dove, dopo gli omicidi, era stato appiccato il fuoco. Tutto a verbale. Una versione che in parte collima con quanto aveva appena dichiarato nelle stesse ore l'unico superstite, Mario Frigerio, che disse di essere stato aggredito da un gigante olivastro di probabile etnia araba (che però poi si trasformerà come d'incanto nel conosciuto vicino di casa Olindo Romano). Ma c'è dell'altro. A Natale, Chemcoum era tornato dai carabinieri raccontando di aver visto «un tunisino e di un italiano» con "una berretta", voci che gridavano «assassino» e «aiutatemi», di un uomo dal «passo affrettato» che gli pareva un «matto» e di «benzina». Il tunisino indicò addirittura una delle persone viste, senza farne il nome, come «il fratello della morta» e cioè di Raffaella Castagna, moglie di Azouz. «I carabinieri - scrive "Cronaca Vera" - non gli chiesero quale fratello, Raffaella ne aveva due, Pietro e Beppe, e lasciarono il verbale così. Ovviamente, poteva trattarsi semplicemente di una somiglianza, poteva pure trattarsi di una balla bella e buona, una mera fantasia. Di fatto, però, su quel racconto, nonostante il comandante dei carabinieri abbia dichiarato di aver "lavorato" sull'ipotesi dell'uomo "con una berretta", non risulta agli atti alcuna ricerca di riscontro. Ma l'aspetto più curioso è un altro: il giorno di Natale del 2006 non c'era ancora un indagato per la strage (Olindo lo sarà il 27), eppure entrambe le testimonianze oculari di Chemcoum restarono stipate nella caserma dei carabinieri di Erba. Lì rimasero anche quando Olindo (e non Rosa) fu indagato, nonostante si ipotizzasse l'esistenza di un complice. Giunsero in Procura solo il 15 gennaio 2007, quando il gip aveva ormai confermato l'arresto del netturbino e di sua moglie, all'epoca rei confessi. Mesi più tardi i due ritrattarono, i Ris non trovarono alcuna traccia che collegasse i Romano alla strage, e i difensori della coppia si misero alla ricerca di Chemcoum, ma di lui si erano perse le tracce. Fino a oggi».

Che cosa potrà dire oggi Chemcoum se non confermare quanto disse allora? Basterà per riaprire il processo? La verità è che molte altre cose non tornano. E Azouz Marzouk lo sa benissimo. È da anni che il tunisino dubita della colpevolezza. Nei giorni scorsi, per esempio, è spuntato dal nulla un altro misterioso supertestimone che avrebbe potuto scagionare la coppia di Erba. L'uomo nel 2008, alla vigilia della sentenza di primo grado era andato a casa della madre di Azouz sostenendo che gli assassini fossero altri. Azouz ne fu turbato, confessò i suoi dubbi alle guardie del carcere durante un trasferimento dal tribunale di Como al carcere, la corte ne venne informata ma Azouz, sul banco dei testimoni, negò tutto salvo cambiare idea in Cassazione, rifiutando la costituzione di parte civile contro il parere del suo legale dell'epoca. Ma allora la corte del tribunale di Como decise - un po' a sorpresa - che sentire i genitori del tunisino, né tantomeno il presunto teste chiave, non fosse necessario. Fino a ora, visto che l'uomo è stato trovato dal nuovo avvocato di Azouz, Luca D'Auria, che ha intenzione di interrogarlo.

Poi ci sono le tracce di Dna trovate sul luogo della strage, che non appartenevano né alle vittime, né ai soccorritori, né a Olindo e Rosa. La difesa della coppia ha chiesto ai consulenti scientifici Carlo Torre, Valentina Vasino e Sara Gino, di analizzare alla luce delle conoscenze moderne le tracce di sangue trovate sul luogo della strage e all'epoca definite "non interpretabili"». Le misteriose e minuscole tracce di sangue furono trovate dai Ris di Parma guidati dal colonnello Garofano - che al processo di primo grado testimoniarono come testi a discolpa di Olindo e Rosa - non furono mai identificate perché «scientificamente non interpretabili», come si legge nel rapporto consegnato alla corte alla vigilia dell'udienza preliminare del 2007, appena dopo che i due coniugi avevano deciso di ritrattare le confessioni, zeppe di «non so, «non ricordo» e per nulla collimanti con i rilievi scientifici dei Ris. Di chi sono quelle macchie? E se fossero la firma della strage?

«Dalla strage sono passati quasi sette anni e le tecnologie da allora hanno fatto passi da gigante - ha detto Fabio Schembri a "Cronaca vera" che insieme a Nico D'Ascola e Luisa Bordeaux difende la coppia - abbiamo chiesto ai nostri consulenti di capire se, con le tecniche attuali, è possibile che gli elettroferogrammi che abbiamo a disposizione consentano di attribuire la paternità di quelle tracce».

Sulla sentenza - come ha già scritto «il Giornale» - pende anche un ricorso alla Corte di Strasburgo, teso a far riaprire il processo (cosa che potrebbe avvenire nel caso in cui il tribunale per i diritti dell'Uomo condannasse l'Italia per violazione dell'articolo 6 del trattato internazionale, ossia l'equo processo). A meno che non saltino fuori nuove prove o nuove testimonianze. Come quella di Chemcoum o del misterioso tunisino.

O come la vera identità di chi ha partecipato alla strage di Erba l'11 dicembre 2006 senza mai stato neppure indagato.

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