I più gentili, su Twitter, scherzano: «Che il premio Strega fosse tutta una mafia lo si diceva da anni» (Johnny Palomba) o si attengono al «curriculum»: «Diventare governatore della Sicilia e farsi arrestare per mafia, una via per arrivare allo Strega» (il chimico-scrittore Arturo Robertazzi); altri sono indignados: «Totò Cuffaro fra gli iscritti allo Strega. Noi iniziamo a vomitare, chi ci segue ci doni un retweet» (i blogger di Sul romanzo); si sprecano i doppi sensi procedurali: «Il libro di Totò Cuffaro in lizza per il premio Strega. In concorso esterno». Fortunatamente c'è anche chi dubita: «Ma ditemi. Perché se la Santa Boldrini dice che la patrie galere fanno schifo tutti applaudono e se lo dice Cuffaro in un libro gli sputano?».
Bisogna aspettare il 16 aprile perché i 26 presentati diventino 12 candidati. Ma il fatto che Totò Cuffaro, condannato a sette anni di reclusione per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra, sia presente nell'elenco con i racconti di carcere de Il candore delle cornacchie (Guerini, pagg. 400, euro 18,50) ha scioccato il web. Non capiamo però dove stia la notizia. Le regole sono le regole e non ne esiste una, grazie al cielo, che discrimini i carcerati come autori. L'editore, sebbene i «presentatori» del libro, Staderini e Gamaleri, abbiano agito autonomamente, si limita giustamente ai contenuti: «Siamo molto contenti della notizia, del tutto inaspettata, della candidatura. Il volume ha il valore di comunicare l'esperienza, personale e collettiva, della vita carceraria». Stefano Petrocchi, coordinatore della Fondazione Bellonci, ci dice: «Il libro di Cuffaro aveva i requisiti formali per essere presentato e quindi iscritto insieme agli altri. Chi dovrebbe decidere quali sono i libri che non possono essere portati all'attenzione del Comitato direttivo? Staderini e Gamaleri si fanno garanti che questo libro non ha contenuti imbarazzanti per il Premio. L'autore è un detenuto e sta scontando la sua pena. Inoltre adesso si sta parlando del libro, non dell'autore. Se Lele Mora, per restare nel paradosso dei tweet letti, avesse trovato due amici disposti a garantire sul valore letterario di un suo libro, avrebbe potuto presentarlo. Non abbiamo mai avuto dubbi sull'accettare la presentazione».
La tradizione di carcerati scrittori è lunga e anche «sponsorizzata» da firme come Dacia Maraini, Susanna Tamaro, Giancarlo De Cataldo e addirittura dal Salone del Libro di Torino, che sostiene il premio Casalini, dedicato appunto alla scrittura in reclusione e arrivato alla XI edizione senza polemica alcuna. Forse però alcuni carcerati sono meno uguali degli altri.
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