L'Italia non è un Paese per investitori. A metterlo nero su bianco ci ha pensato la European Attractiveness Survey, ricerca realizzata da Ernst & Young che registra i progetti di investimento stranieri nei diversi Paesi europei e misura poi il grado di attrattività dei singoli Stati.
Nel 2013, un anno peraltro record per l'Europa nel suo complesso come polo di attrazione dei capitali stranieri (con 3.955 progetti, in crescita del 4% rispetto all'anno prima per un valore complessivo di 1.130 miliardi: +11%), l'Italia non appare neppure tra i primi 15 Paesi destinatari di investimenti esteri. Un dato che lascia l'amaro in bocca visto che, in compenso, l'Italia continua a puntare sul Vecchio continente con 116 progetti avviati nel 2013 rispetto ai 104 del 2012 ed è all'8° posto nella classifica dei maggiori investitori globali sul territorio europeo.
Quel che è anche peggio, sempre secondo EY, è che il nostro Paese nei primi mesi del 2014 ha registrato un grado di attrattività dei capitali stranieri pari all'1%, in calo di due punti percentuali rispetto allo scorso anno e fanalino di coda nell'Europa ovest. Ampliando poi l'orizzonte a Est, Roma è superata persino da Stati in piena crisi politica come l'Ucraina e, in qualche misura, dalla Turchia che totalizzano rispettivamente un livello di attrattività pari al 7% e al 6%.
D'altro canto, la ricerca indica chiaramente che gli imprenditori oggi cercano realtà caratterizzate da un sistema normativo certo e garante degli investimenti fatti, da una domanda interna sostenuta e da un margine di miglioramento, in termini di produttività, allettante. «L'Italia soffre di mancanza di competitività, di un livello di fiducia ancora rasoterra e di una innegabile lentezza nel voltare pagina. Gli investitori internazionali sono in attesa di un maggiore livello di azioni proattive da parte di Roma», il laconico commento della ricerca.
«La crescita del 4% nei progetti di investimento stranieri in Europa nel 2013 rappresenta un segnale importante per l'economia del Continente, ma anche un forte richiamo per il nostro Paese - puntualizza Donato Iacovone, ad di EY Italia - che, però, non è ancora riuscito a intercettare questa ripresa. Un risultato influenzato non solo dall'instabilità politica dell'ultimo anno, ma anche dai problemi strutturali legati alla pressione fiscale, alla difficoltà di accesso al credito e alla stagnazione delle riforme. Non sfruttare il segnale di stabilità emerso dal recente voto europeo, e quindi non avviare da parte del governo le riforme fondamentali per l'Italia, sarebbe un grave errore». La ricerca di EY raffredda quindi di molto gli entusiasmi seguiti ai dati pubblicati dall'Ocse (l'Italia è l'unico Paese del G-7 in cui la ripresa sta accelerando con l'indice salito in aprile a 101,6 da 101,4 punti) e dall'Istat (la produzione industriale, sempre in aprile, è stata di nuovo in crescita dell'1,6% rispetto allo stesso mese del 2013 e dello 0,7% su marzo).
E non si tratta dell'unica doccia gelida.
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