La sua fragilità l'ha reso un'icona dei giovani

Leggere il modo in cui ieri si è raccontato al Fatto conferma l'impressione che, forse, i quarantenni di identità sospesa abbiamo trovato un coetaneo celebre che non se la tira troppo e sa rappresentare degnamente l'Italia creativa in giro per il mondo

La sua fragilità l'ha reso un'icona dei giovani

Ho sempre avuto una simpatia viscerale, quasi ideologica per Lapo Elkann e la sua italianità stralunata. Il mio apprezzamento è cresciuto otto anni fa, all'epoca del fattaccio che ha scatenato la solita coda di moralismo invidioso riservata ai figli di papà quando cadono in disgrazia. La curva Nord della Lazio gli riservò uno striscione di sostegno, e io assieme a quello striscione scrissi di lasciarlo in pace. Leggere il modo in cui ieri si è raccontato a Beatrice Borromeo e Malcom Pagani conferma l'impressione che, forse, noi quarantenni di identità sospesa abbiamo trovato un coetaneo celebre che non se la tira troppo e sa rappresentare degnamente l'Italia creativa in giro per il mondo. Non l'ho mai invidiato, francamente. Lapo ha vissuto per anni nel caldissimo cono di luce che illumina e scotta ogni frammento di vita del rampollo ribelle, a volte scapestrato, a volte disarmato, di una grande dinastia. A maggior ragione nel caso degli Agnelli, appresso all'Avvocato, icona pluridecennale dell'italian style nel mondo. E invece «oggi non ho più nessuna voglia di essere come lui», dice postumo il nipote al nonno Gianni, il nonno che veniva continuamente posto come paragone di successo e stile verso quel biondino che, come mi disse una vecchia conoscenza degli Agnelli, «è simpatico, ma non tiene carattere». Sembra passato un millennio. E il ragazzo di fragile genialità, cresciuto a New York, sbertucciato per i suoi verbi incespicati, demolito in effigie per vizi e vizietti scandalosi, scopriamo che è passato attraverso prove che avrebbero demolito chiunque, ha conosciuto da adolescente la violazione del corpo e il suicidio del migliore amico in ragione della medesima violazione. Lasciamo ad altri in servizio permanente il compito di scandagliare il liquido nero di queste memorie. Oggi, potessi, gli direi «ciao, Lapo, amico mio», rivolgendomi a un ragazzo elegante ed educato che all'approssimarsi della quarantina s'è fatto uomo maschio - direbbe Éric Zemmour - e come tutti gli uomini maschi desidera completarsi nella più antica delle sfide: «Non vedo la mia vita senza moglie e figli». Et voilà, semplice, semplicissimo. Pensa che incredibile storia se alla fine sposasse una non famosa ma sconosciuta, non bella ma carina, non ricca ma medio borghese, non casalinga dorata ma impiegata in qualche ufficio dove si smazza fino alle otto di sera. Sempre pronti a stupirci, in fondo questo, noi suoi quasi-coetanei, chiediamo a Lapo senza dirglielo: tu che puoi, rappresentaci al meglio, dimostra che il salto generazionale della classe dirigente è completo, e i nostri genitori possono andarsene tranquillamente in pensione. Tu hai due gioielli in più nel tascapane: hai fatto l'operaio e hai fatto il soldato, hai vestito cioè i panni in carne dei due simboli che Ernst Jünger assegnava alla grandiosa specificità del Novecento. Soldato semplice Lapo, a lavar piatti e preparare cubi in branda. Operaio Lapo, anonimo in linea di montaggio. Ai tuoi figli, dunque, potrai raccontare cose che a molti nostri coetanei, e alla quasi totalità dei più giovani, sono pregiudicate: il misto di orgoglio e sofferenza, monotonia e senso del dovere, che costituisce la vita in fabbrica al tempo della scomparsa delle fabbriche e della desertificazione industriale, e ancora di più il racconto di una stagione della vita sparita del tutto, quella del servizio di leva obbligatorio, quando abbiamo trentacinquenni incapaci di vivere anche un solo giorno senza lasagne e lenzuola di mammà, e che magari preferiscono la precarietà dei call center al sudore della tuta blu. Ultima annotazione. Se avrà una figlia, racconta Lapo, la chiamerà Italia. Nuovo, personale, atto d'amor patrio. C'è bisogno, in una fase di lagna declinista, di gente che ricominci a sorridere di ottimismo quando si parla di Italia.

E siccome Lapo ha fatto brand di una particolare forma di patriottismo che considera l'italianità un tratto culturale, di stile, glam e non biologico, legandola alla bellezza, un quarantenne serenamente nazionalista non può che dirgli: avanti così.

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