C he di Renzi non ci si potesse fidare si è capito subito, quando è partito in quarta impegnandosi a pagare 68 miliardi di debiti della Pubblica amministrazione entro (...)
(...) luglio (conferenza stampa del 12 marzo 2014) e dopo solo un giorno (Porta a porta del 13 marzo) già spostava avanti di 3 mesi, al 21 settembre, San Matteo, la deadline. Ci aspettiamo che la scadenza che il premier si era inizialmente dato venga spostata ancora in avanti. Ma siamo anche convinti che al presidente del Consiglio non manchi la sfrontatezza di dire agli italiani che l'impegno è stato rispettato.
D'altronde, è andata così anche per le altre riforme: legge elettorale e riforme istituzionali dovevano esser fatte a febbraio, ma siamo al 23 giugno e sono «spiaggiate» al Senato. La riforma del lavoro, calendarizzata per marzo, apprezzabile nella versione iniziale del ministro Poletti, è stata stravolta in Parlamento sotto il ricatto della Cgil, e il governo ha dovuto fare 3 volte ricorso alla fiducia per approvarla in entrambe le Camere. Del disegno di Legge delega, invece - il famigerato jobs act, su cui Renzi ha fatto la sua campagna per le primarie del Pd, vincendole - si sono perse le tracce. Terzo punto: la riforma della Pubblica amministrazione. Doveva esser fatta entro aprile, ma l'ultimo giorno di quel mese, il 30, sono state presentate solo le linee guida in conferenza stampa. Il decreto, o i decreti, e forse un disegno di legge, non sono ancora pubblicati in Gazzetta Ufficiale, nonostante la copertina sia stata approvata in Consiglio dei ministri il 13 giugno: vale a dire 10 giorni fa, e comunque un mese e mezzo in ritardo rispetto alla deadline che si era dato il premier. Capitolo fisco: in calendario per il mese di maggio. Basterebbe scrivere i decreti legislativi di attuazione della delega fiscale, approvata in via definitiva dal Parlamento il 27 febbraio. Sono passati quasi 4 mesi e ancora nulla di fatto, né può ritenersi sufficiente il decreto «Semplificazione fiscale» approvato venerdì scorso dal Consiglio dei ministri. Entro giugno, infine, dovremmo avere la riforma della giustizia. Manca una settimana. Vedremo.
Torniamo ai pagamenti della Pa. I temi sono due: pagamento dei debiti pregressi (cioè quelli maturati dalle imprese fino al 31 dicembre 2012) e pagamento delle nuove forniture.
Il pagamento dei debiti pregressi
Tutto inizia il 18 marzo 2013, quando i vicepresidenti della Commissione europea, Olli Rehn e Antonio Tajani, comunicano all'Italia che il pagamento dei debiti della Pubblica amministrazione non rientra nel calcolo del debito pubblico ai fini del Patto di stabilità. È così che l'8 aprile 2013 il Consiglio dei ministri, presieduto da Mario Monti, allora in carica per gli affari correnti, vara il decreto che «sblocca» i pagamenti: si prevede che vengano liquidati 30 miliardi nel 2013 e 20 miliardi nel 2014.
Con il pagamento dei debiti delle Pa si dava modo alle imprese, attraverso la liquidità immessa nel sistema, di riavviare subito il ciclo dei pagamenti dei propri fornitori, di tornare a investire e di ricominciare ad assumere. Con effetto diretto sul Pil e con sollievo per le casse dello Stato, attraverso, da un lato il versamento dell'Iva da parte di chi riceveva i pagamenti; dall'altro, attraverso il gettito dei tributi diretti e dei contributi sociali derivanti dalla ripresa occupazionale innescata dalla ripresa produttiva generata dai pagamenti.
Convinti di ciò, a giugno 2013 (governo Letta), cominciamo a chiedere ripetutamente al presidente del Consiglio e al ministro dell'Economia e delle finanze di anticipare al secondo semestre 2013 anche il pagamento dei 20 miliardi inizialmente previsti per il 2014. L'effetto totale per l'Erario sarebbe stato di circa 8-9 miliardi, al netto di quanto già contabilizzato nei tendenziali.
Sempre a giugno 2013 chiediamo al governo Letta di aggiungere pagamenti per altri 50 miliardi di euro, prevedendo ulteriori forme di finanziamento da parte del sistema bancario e delle società di factoring, da attivare mediante semplice concessione di garanzia da parte dello Stato su debiti certi, esigibili e ormai definitivamente accertati dalle procedure già poste in essere. Ma otteniamo solo che il 28 ottobre 2013 l'esecutivo stanzia ulteriori 7,2 miliardi di euro per il 2013.
Si arriva così al governo Renzi. Nel suo discorso alle Camere per la fiducia (24 febbraio 2014), il presidente del Consiglio si impegna a pagare tutti i debiti residui della Pa, anche attraverso il ricorso alla concessione di garanzia da parte di Cassa depositi e prestiti (nostra proposta, ma gli abbiamo regalato il copyright). Seguono la conferenza stampa dei pesciolini rossi e la puntata di Porta a porta ricordate all'inizio. A che punto siamo oggi? Sul sito del ministero dell'Economia e delle finanze l'aggiornamento è del 28 marzo 2014 e i debiti della Pa pagati ai creditori ammontano a 23,5 miliardi, di cui 22,8 miliardi liquidati dal governo Letta e solo 700 milioni dal governo Renzi. Era previsto un ulteriore aggiornamento dei dati sul sito del Mef per il 23 aprile, ma non c'è stato. Né sono presenti altri aggiornamenti di maggio e giugno. Chissà come mai.
Va infine notato che i vicepresidenti Rehn e Tajani avevano chiesto all'Italia di precisare quale fosse l'ammontare totale e certo dei debiti della Pa. Ad oggi, dopo 15 mesi, non è ancora arrivata una risposta. L'unico dato che tutti conosciamo è quello della Banca d'Italia: 90 miliardi.
Il pagamento delle nuove forniture
Il 16 febbraio 2011 entra in vigore la direttiva europea che prevede l'obbligo per le Pa di pagare le imprese creditrici entro il termine massimo di 30 giorni, pena interessi di mora dell'8% più l'Euribor. La direttiva doveva essere attuata entro il 16 marzo del 2013, ma la Commissione europea ha chiesto agli Stati di attuarla prima possibile. L'Italia lo fa il 9 novembre 2012. Tuttavia, alcune delle norme attuative approvate in quella sede, in particolare quelle relative alla definizione dei casi in cui è possibile saldare le fatture in 60 giorni anziché in 30, sono oggetto di censura da parte della Commissione europea, la quale chiede chiarimenti all'Italia, preannunciando l'avvio di una procedura di infrazione. Così è stato. E mercoledì scorso la Commissione europea ha notificato al governo italiano, con procedura di urgenza, una lettera di messa in mora per violazione della direttiva europea sui ritardi di pagamento. Non solo per il motivo appena ricordato, ma soprattutto perché la Pubblica amministrazione italiana oggi paga le sue fatture in media in 180 giorni (6 volte quanto prescritto dalla normativa europea), dato confermato dalla Banca d'Italia. La situazione è ancora più grave nel settore dei lavori pubblici, dove la media è di 210 giorni. Non finisce qui. La Commissione europea contesta all'Italia anche il fatto che il tasso di interesse applicato in caso di ritardo dei pagamenti non è quello dell'8% più Euribor previsto dalla direttiva europea, ma molto inferiore. A ciò si aggiunge, infine, stando ai rilievi della Commissione europea, che la normativa italiana lascia troppa discrezionalità alla Pa nella definizione dei tempi per la fatturazione da parte delle imprese.
Caro presidente Renzi, la materia è di importanza fondamentale tanto nei nostri rapporti con l'Europa quanto per il rilancio dell'economia italiana. Se uno spazio di flessibilità (quello per il pagamento dei debiti della Pa) ci è stato concesso nel 2013 fino al 2014, perché poi inizia a operare il Fiscal compact, e il governo non è in grado di utilizzarlo, come puoi pensare che te ne riconoscano degli altri sul Patto di stabilità, attraverso i Contractual arrangements (anche qui ti regaliamo il copyright) che il ministro Padoan va proponendo in giro per il mondo? Per essere credibile nelle richieste che intendi fare all'Europa devi dimostrare innanzitutto di essere in grado di portare a termine gli impegni che hai già preso. Se così non è, sarà difficile ottenere ancora fiducia dall'Ue. L'Europa, come il popolo italiano, ti aspetta alla prova dei fatti. E i fatti finora ti stanno dando dato torto.
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