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Superpoltrone, così Letta gioca al risiko delle nomine

La finanza cerca nuovi interlocutori tra lettiani, ciellini e i fedeli di Saccomanni. Tra un anno scadranno i vertici dei colossi di Stato Eni, Enel, Finmeccanica e Poste

Superpoltrone, così Letta gioca al risiko delle nomine

La staffetta all'Eni tra Passera e Scaroni, con il passaggio di questi alla presidenza delle Generali; un rafforzamento della galassia Intesa Sanpaolo e il consolidamento del polo coop Unipol-Fonsai; una forte impronta «ciellina» sul mondo delle costruzioni e la riabilitazione di Finmeccanica. Sono queste solo alcune delle suggestioni raccolte tra Milano e Roma in questi primi giorni del governo Letta - vista la lista dei ministri - in tema di impresa, finanza e poteri forti. Nell'ipotesi che l'esecutivo si riveli duraturo, quali saranno le ricadute sugli equilibri del fragile capitalismo nazionale?

Quali le filiere di potere vincenti e i terminali per la finanza? Fino al 2011 non era difficile trovare riferimenti precisi: nell'era ulivista la partita si giocava tra Prodi e D'Alema (si pensi alla cessione di Telecom a Colaninno prima, o alla cacciata di Tronchetti poi); in quella berlusconiana la sintesi nasceva dal confronto tra Letta (Gianni) e Tremonti (dalle nomine della spa pubbliche, all'assetto di Mediobanca-Generali).

Poi, con il governo Monti, i riferimenti sono pressoché scomparsi, superati da altre emergenze. Si è aperto quello che un politologo Usa di grido, Nathan Gardels, chiama «spazio depoliticizzato», di fronte al quale le istanze dei poteri - nel frattempo sempre meno forti - andavano un po' a sbattere. Ora, è vero che questo esecutivo resta ancora depoliticizzato per la presenza di tecnici in posti chiave, ma vuole tornare ad avere peso politico.

Tra i nuovi terminali c'è di certo lo stesso Letta che, con il suo think tank Arel, garantisce la copertura neo prodiana. Un'impronta che varrà in molti campi, dall'industria alla finanza. Per Finmeccanica sarà l'occasione di riabilitarsi. Il gruppo è sempre stato seguito da vicino, oltre che dallo zio, anche dal premier: in cda sedeva il suo «fratello» di Arel Filippo Andreatta e in Selex lavora l'amico di gioventù Simone Guerrini. Mentre Alessandro Pansa ha pubblicamente incassato il via libera del futuro premier già in febbraio. Arel assume valore anche nel recinto di Intesa, la super banca «di sistema» salda nelle mani delle Fondazioni Cariplo e Sanpaolo e presieduta da Gianni Bazoli, sempre più king maker di una finanza milanese dove il potere laico di Mediobanca vive un momento di debolezza. Non a caso da Piazzetta Cuccia non emergono contatti «politici» stretti con questo esecutivo, mentre sono forti quelli più «tecnici» con il ministro Fabrizio Saccomanni.

A quest'ultimo fa riferimento il secondo terminale di governo dell'economia, tutto sull'asse Visco-Draghi. Ne beneficeranno la Cdp (230 miliardi di risparmio postale) e i suoi fondi, che Saccomanni ha già dimostrato di usare con abilità nella partita Generali. Mentre per le banche, tutte, è garanzia di dialogo, ma anche certezza che dal vigilante divenuto ministro non ci saranno sconti. Non fa eccezione Unicredit, per il quale (un po' come per Mediobanca, di cui è primo azionista) vale sempre più la capacità di fare business che quella di influenzare partite sistemiche. Anche se uno dei suoi uomini forti, Fabrizio Palenzona, potrebbe trovare un filo diretto con il mondo ciellino al governo, a cui è sempre stato vicino. E che ci fornisce la terza (e spessa) filiera di potere: sono tre i ministri politici accreditati a Cl: Maurizio Lupi (Infrastrutture, Pdl), Mario Mauro (Sc) e Graziano Delrio (Pd). A Lupi in particolare si deve la prospettiva di un rilancio di opere e costruzioni, anche per gli ottimi trascorsi relazionali di quell'area con Impregilo (milanese) in procinto di fondersi con Salini (romana).

Il contraltare ciellino è il mondo delle coop rosse, la quarta gamba economica, quella affidata a Flavio Zanonato, ministro dello Sviluppo, l'unico con un sano e serio passato nel Pci. Dietro di lui ci sono sia Bersani sia D'Alema. E pure un antico memoriale, richiesto dal giudice Nordio nell'ambito di un'inchiesta su presunte tangenti che giravano dalle parti delle coop. Un mondo che Zanonato conosce bene, come anche quello delle imprese del Nord Est, e che sembra fatto apposta per dialogare con il nascente astro finanziario bolognese Unipol-Fonsai.

Poi ci sono le spa pubbliche. Combinazione, tra un anno scadranno i vertici di Eni, Enel, Poste e Finmeccanica. Si prevede una rivoluzione per due motivi: l'ondata di rinnovamento generazionale che si è appena abbattuta sullo stesso governo e la possibile cessione delle quote in mano allo Stato. Cambieranno molte caselle. A partire dall'Eni che l'ad Paolo Scaroni, in sella da 9 anni, dovrebbe lasciare anche per limiti d'età: così si disse nel 2005 per il suo predecessore Vittorio Mincato, allora 68enne come sarà Scaroni nel 2014. E per la poltrona dell'Eni si prepara Passera, rimasto fuori dalla politica ma ben sostenuto dall'ala montezemoliana dell'esecutivo.

Mentre per Scaroni, superapprezzato da Berlusconi, appena confermato nel cda delle Generali dal quale invece sembrava voler uscire, il futuro potrebbe riservare proprio la poltrona più alta di Trieste, in scadenza nell'aprile 2016.

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