Politica

"Una talpa informò i boss del maxiblitz di Milano"

Mafia e politica. Un libro ricostruisce la retata che portò a 300 arresti in Calabria e in Lombardia Il pentito di ’ndrangheta Morabito: «Non credo ai nuovi collaboratori di giustizia»

I boss in Calabria sapevano in anticipo del maxiblitz che lo scorso luglio portò all’arresto di 300 persone tra Milano e Reggio Calabria. Il libro O mia bella Madu ’ndrina di Felice Manti (giornalista del Giornale) e Antonino Monteleone riporta la storia di Giovanni Zumbo, in passato stretto collaboratore di un politico calabrese indagato (poi prosciolto), che aveva rivelatola retata a un esponente della ’ndrangheta. Nel libro si parla di strani rapporti tra le cosche e un agente dei Servizi segreti e dela strana cattura di un latitante. E lo storico collaboratore di giustizia, Saverio Morabito, rivela agli autori: «Non credo ai nuovi pentiti di ’ndrangheta».  

Secondo il Ros di Reggio, (Giovanni Zumbo) avrebbe «concretamente contribuito, pur senza farne formalmente parte, al rafforzamento della ’ndrangheta in Calabria, in Italia e all’estero fornendo in maniera sistematica e continuativa» a un potente boss reggino, Giovanni Ficara, notizie «coperte dal segreto investigativo riguardanti indagini in corso, in particolare rivelando l’esistenza di apparati di intercettazione audio-video presso l’agrumeto di Domenico Oppedisano», il presunto numero uno della ’ndrangheta (...) e avrebbe passato altre informazioni delicatissime proprio ai figli di Gambazza, Sebastiano e Giuseppe Pelle, dopo l’arresto di un terzo fratello, Salvatore. Su Zumbo la Dda di Reggio Calabria e quella di Milano stavano indagando (operazioni Patriarca e Tenacia, quella che ha svelato l’assalto alla Perego strade) e avrebbero scoperto che suggeriva agli uomini d’onore il modo in cui aggirare telecamere e microspie piazzate dagli inquirenti. Come faccia un commerciante di quarantatré anni a sapere cosa succede alla Dda di Reggio e soprattutto a quella di Milano è un mistero che va svelato poco alla volta.
(...) L’appuntamento è arrivato. La stanza è in penombra, c’è un tavolino e un telefono. Sono nervoso. Mi hanno lasciato il cellulare, non sanno che posso registrare tutto. O almeno cercare di farlo. Lo metto in modalità offline e accendo il registratore (...) ripeto le sue risposte più importanti. Anche per farmi sentire dai miei due angeli custodi fuori dalla stanza, dietro la porta semiaperta da dove filtra un po’ di luce. «Siediti qui e aspetta». Aspetto. (...)
Dall’altro capo del telefono risponde una voce. Non ha inflessione calabrese. Me l’aspettavo. Ho sentito e risentito la sua voce su YouTube, quell’intervista a Sandro Ruotolo di Annozero. Dall’altro capo del telefono c’è Saverio Morabito, il pentito di ‘ndrangheta che negli anni Novanta ha consentito, con la sua deposizione, di smantellare con duecentocinquanta arresti le cosche calabresi in Lombardia. Oggi i pentiti vanno molto di moda, a Milano come in riva allo Stretto. Vent’anni fa no. Anzi. Lui è sotto protezione, non so dove sia e non lo voglio sapere. La telefonata dura sette minuti e tre secondi (...) le risposte non sono quelle che mi immaginavo. (...)
«Secondo lei la stagione dei pentiti è ancora valida dal punto di vista investigativo o se si è esaurita...».
«Esaurita no. Ma il pentimento è una scelta. La ‘ndrangheta questi ce l’hanno nel sangue, nelle mura di casa».
«E lei non crede a questi pentiti?».
«No».
«Ha letto le carte dell’inchiesta, ha visto i nomi che ricorrono? Oppedisano, Zappia, Pino Neri?».
«Ci sono molti personaggi di secondo e terzo piano. Mi sembra per lo più gente che non ha mai preso una pistola in mano... Gente che parla di quelli che contano senza averli mai incontrati. Se non li hai mai incontrati, non conti niente...».
«Gente di secondo piano?».
«Sì. Quest’operazione non mi sembra significativa...».
«Ha sentito parlare di questo Zumbo, uno che andava a casa di Ficara a dire che a Milano stavano facendo un’inchiesta con molti arresti, eccetera. Ma queste figure che si muovono tra questi due mondi, diciamo, sono...».
«È una via di mezzo tra il folklore e la millanteria. Sono personaggi che le famiglie usano per mandare messaggi».
«Sono dei pizzini viventi, diciamo».
«Diciamo...

».
Felice Manti
Antonino Monteleone

Commenti