Milano«Orge bacchiche»: questo per la Procura di Milano erano le feste a casa di Silvio Berlusconi. E, per la seconda volta consecutiva, il tribunale milanese si appropria di questa ricostruzione e anzi l'aggrava. Emilio Fede, Lele Mora e Nicole Minetti vengono condannati per favoreggiamento della prostituzione, allo stesso modo in cui il 24 giugno scorso venne condannato Berlusconi. Senza neanche bisogno di aspettare le motivazioni, basta la lettura della sentenza per capire quale sia la versione dei fatti che il giudice Annamaria Gatto e le sue colleghe hanno ritenuto provata al di là di ogni ragionevole dubbio, e che è identica, persino sovrapponibile a quella dei giudici di Berlusconi. Non erano cene eleganti, non erano feste a base di barzellette e innocenti burlesque. Ad Arcore per i giudici tutto era finalizzato a soddisfare i capricci sessuali del padrone di casa, e per questo venivano arruolate e portate nella villa le ragazze che avrebbero fatto sesso a pagamento con il Cavaliere. Maggiorenni, come le Olgettine. Minorenni, come Ruby.
A Fede e Mora viene inflitta la stessa pena che ha colpito Berlusconi: sette anni di carcere. Un gradino più sotto, cinque anni, la pena per Nicole Minetti, che viene assolta (e qui oggettivamente gli elementi a suo carico erano al lumicino) dall'accusa di avere portato ad Arcore anche Ruby: una assoluzione che sulla carta avrebbe potuto portare ad uno sconto di pena più consistente, e infatti l'ex consigliere regionale nei suoi commenti a caldo manifesta stupore per l'entità della condanna che comunque le piove addosso. Tutto da analizzare il bilanciamento delle pene tra Fede e Mora: il ruolo dei due amici di Berlusconi viene considerato dai giudici identico per quanto riguarda i rapporti con le ragazze maggiorenni, le cosiddette Olgettine, ma a Fede viene riconosciuto di avere avuto un ruolo meno diretto per quanto riguarda Ruby. Perché la pena finale per i due è la stessa? Semplicemente, perché a Mora vengono riconosciute le attenuanti generiche. Anche qui non serve aspettare le motivazioni per capire la decisione dei giudici: all'ex agente di spettacolo è giovato (anche se meno di quanto sperasse) il comportamento processuale, con le sue frequenti presenze in aula e soprattutto con le dichiarazioni al tribunale in cui prese esplicitamente le distanze da Berlusconi, parlando di «dismisura, abuso di potere, degrado». Appena uscito dall'aula Mora si era rimangiato tutto. Ma le attenuanti le ha portate lo stesso a casa.
Di fatto, i due processi per il caso Ruby si concludono in modo identico. Benché celebrati in aule diverse e davanti a giudici diversi, si può ora dire che hanno costituito un unico grande processo, dove sul banco degli imputati sedevano - solo apparentemente separati - i presunti procacciatori e l'uomo indicato come beneficiario finale del complesso e costoso sistema architettato per arrivare al bunga bunga. Procacciatori e utilizzatore si ritrovano dalle sentenze accomunati dalla stessa sorte, al punto che tanto varrebbe, a questo punto, celebrare un unico processo d'appello. E, come le loro colleghe del Ruby 1, i giudici del Ruby 2 candidano all'incriminazione quasi tutte le testimoni della difesa, e insieme a loro Berlusconi e i suoi legali.
Alle tre ragazze costituitesi parti civili, il tribunale ha riconosciuto il diritto a vedersi risarcire i danni subiti da Fede e Mora: ma il tribunale ha rifiutato di ordinare il pagamento immediato di un acconto, come è d'abitudine.
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