RomaAchtung, achtung! Contrordine, kameraden! Situazione grave, intervenire in Italien, zum Angriff, all'attacco! Ach, nein! Contro-contrordine! Dietrofront, situazione sfuggita di mano, troppo Casini, ri-ti-ra-rsi sofort, su-bi-to!
A furia di passaparola, ordini, contrordini, dovevano essersi fatte di fuoco, ieri, le linee «amiche» sull'asse Berlino-Roma-Bruxelles-Helsinki. Ci si esprimesse ancora per telegrammi, si sarebbe rischiato un guaio. Frau Kanzlerin Angela Merkel disposta a tutto per il Mario dei sogni. Olli Rehn, commissario agli Affari economici, ex calciatore finlandese, che infrange la consegna di «non interferenza» negli affari interni degli stati dell'Unione, specie se in campagna elettorale, e passa all'attacco di Silvio Berlusconi. Il suo collega italiano, Antonio Tajani, che immantinente «si dissocia». Il Pdl che insorge al di qua e al di là delle Alpi e respinge l'attacco al mittente, «irresponsabile e inaccettabile» (Alfano), chiedendo una «commissione d'inchiesta europea su Rehn» e persino (Brunetta) le dimissioni dell'incauto commissario. Bersani che fa il pesce in barile, non essendo lui il destinatario dell'aiutino, e finge la scoperta dell'acqua calda: «Non è una novità, non c'è bisogno dei commenti della Ue e di nessuno...». Infine, la testa d'ariete finlandese risospinto fino all'autocritica: «Non voleva essere un intervento relativo alla campagna elettorale in Italia».
Ma le parole pronunciate in mattinata all'audizione presso l'Europarlamento non erano state certo lievi. Parlando della congiuntura e dell'effetto sulla fiducia dei mercati della credibilità di ogni governo europeo, Rehn aveva oltrepassato la linea gotica. «Vi posso dare un chiaro esempio. Pensate all'Italia tra l'agosto e il novembre del 2011... aveva fatto alcune promesse su misure di risanamento dei conti pubblici a fine estate, anche in modo da favorire un intervento della Bce sul mercato secondario dei titoli di Stato... Poi accadde che il governo Berlusconi decise di non rispettare gli impegni e da questo risultò un aumento dei costi di rifinanziamento dei titoli di Stato, e una fuga di finanziamenti che ha soffocato la crescita economica e ha portato a un vicolo cieco politico che sfociò nel governo Monti, che più in avanti riuscì a stabilizzare...».
Ora non è un mistero per nessuno a che punte di passione giunga il tifo della Merkel per Monti, la cui «salita» in politica viene da molti osservatori identificata addirittura come operazione a tavolino per approfittare dello sbandamento di Berlusconi, sottrargli gran parte dell'elettorato di centrodestra e renderlo marginale sullo scacchiere politico. Strategia sottilmente bellica che la Cancelliera non è riuscita ad esportare molto oltre i confini della Germania e dei suoi alleati più «nordici», tipo la Finlandia patria di Rehn. Però talmente chiara e assodata che lo stesso Massimo D'Alema, l'altro giorno, spiegava ai suoi come «non è l'Europa a volere Monti, ma solo la signora Merkel». Epperò, siccome il diavolo fa le pentole e non i coperchi, ciò che dev'essere stato appreso con sbigottimento dalla Cancelleria berlinese è il progressivo affermarsi nei sondaggi della rimonta del Cav. Eventualità che la Merkel riteneva non improbabile, ma del tutto impossibile.
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