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Tutti sul carro di Renzi, il Pd è suo

RomaAlla fine non ne rimase più nessuno. A terra, s'intende, mentre il Carro di Matteo trionfante passerà sotto l'Arco di Tito e prenderà possesso del Nazareno, pappato in quattro e quattr'otto manco fosse un bignè. Anzi, no. Probabilmente un appiedato ci sarà: Pier Luigi «Culatello» (come lo chiama Dagospia) Bersani, arcinemico del sindaco di Firenze, ieri mollato anche dalle correnti postdc che pure l'avevano sostenuto nella buona e (soprattutto) cattiva sorte. Se ne va Dario Franceschini, fulminato sulla via di Palazzo Vecchio. Lo segue a ruota, per non perdersi un grammo, Beppe Fioroni, altro nemico giurato di Renzi. Ad horas s'attende la Bindi con capo cosparso di cenere (ma risulta ancora offesa per la promessa di rottamazione).
In fondo è bastato il colpo d'occhio, la differenza imbarazzante con la quale il popolo pidino della festa di Genova ha accolto, uno dopo l'altro, prima Enrico Letta, poi il «principale esponente dello schieramento avverso», si potrebbe dire parafrasando un'infelice frase di Uòlter Veltroni (anche lui da tempo accasatosi dalle parti di Matteo). Renzi ha divertito, fatto sognare, riscaldato i cuori affranti del Pd in gramaglie di questi tempi. Sentimenti per nulla suscitati dal premier in carica: sul quale, per dirla con alcuni pasdaran renziani, peserà per sempre il marchio di «aver fatto un governo con Berlusconi». «Però è giovane e può dare ancora il suo contributo in tanti altri modi» l'aggiunta benevola di D'Alema, il supporter di Matteo più singolare: dapprima nemico, se n'è fatto vittima sacrificale rinunciando alla poltrona. Ergo ha provato un appeasement, per poi scagliargli contro Cuperlo («Prodotto di qualità della miglior scuola di politica: la mia») e dicendosi alla fine convinto che Renzi sarà un ottimo capo e premier. Beninteso, i voti di Cuperlo saranno da calcolare «in quota D'Alema», così che l'unica minoranza del futuro Pd sarà dalemiana.
L'endorsement di Franceschini, che siede al governo con Letta e ne rappresenta la sua guardia giurata, era atteso da giorni; già il suo maggior alleato in Areadem, Fassino, aveva optato per Renzi. I toni concilianti usati dal sindaco fiorentino, la speranza di un abbraccio che garantisca al governo lettiano qualche mese di vita in più, hanno convinto Franceschini a rompere gli indugi: «Sono pronto a votare per Renzi, se oltre a innovare saprà unire il Pd. Quando una squadra ha più talenti cerca di utilizzarli tutti: Letta e Renzi sono due talenti e vanno usati entrambi, senza rivalità tipo Rivera-Mazzola, che ancora mi fanno soffrire». Più ambiguo l'annuncio di Fioroni («Se un candidato ha l'80 per cento è l'unico candidato...»), che ammette di preferire come premier Letta. Il quale si guarda bene dal commentare l'uscita franceschiniana («Il mio impegno è governare»), così da far intendere quanto la mossa sia concordata. Il Pisano starà ben attento a ingaggiare una sfida dalla quale potrebbe uscire con le ossa rotte: il Pd va quindi verso una divisione consensuale dei «beni». Aspra ma perfetta la sintesi del microcandidato Pittella: «Preso dal panico, il partito tenta di lanciarsi a peso morto sul carro del presunto vincitore. Fossi Renzi inizierei a preoccuparmi».

Anche se non lo dà a vedere, Matteo lo è già.

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