La Ue lascia le imprese a secco per colpa del «rigore» di Monti

Pronto un piano europeo per saldare il maxi debito dell'Italia con le sue aziende, ma i conti a Bruxelles non tornano. E il governo non ha contattato la Commissione

Il presidente del Consiglio Mario Monti
Il presidente del Consiglio Mario Monti

Sulla restituzione dei debiti della pubblica amministrazione alle imprese, l'Italia potrebbe fare di più. E, soprattutto, potrebbe fare meglio. Suona strano che un giudizio di questo tipo arrivi da Bruxelles e che abbia come destinatario il governo più europeista della storia patria. Ma le cose stanno più o meno così.
Ieri la giornata è iniziata con un'indiscrezione trapelata dalla Commissione europea che sembrava ipotecare pesantemente il piano di restituzione, compresa la versione ultra light abbozzata venerdì dal premier Mario Monti e dal ministro Vittorio Grilli.
L'allarme è scattato con un'agenzia stampa che citava fonti della Commissione, secondo la quale il pagamento dei 40 miliardi in due anni previsto dal governo italiano «renderebbe per l'Italia più difficile la chiusura della procedura per deficit eccessivo aperta a Bruxelles». In seguito la fonte è venuta allo scoperto (lo staff del commissario agli affari economici Olli Rehn), ma per ridimensionare. «Perché l'Italia possa beneficiare della flessibilità» sul Patto di Stabilità «è essenziale che rispetti le condizioni» per la fine della procedura per deficit pubblico eccessivo. In altre parole, prima di permettere all'Italia di pagare i debiti, deve finire la procedura avviata contro l'Italia.
Lo stesso premier Mario Monti, parlando al Senato, ha spiegato che questa si dovrebbe chiudere, secondo i piani, alla fine di aprile. In tempo quindi per fare partire il piano di rientro, secondo i piani, cioè dalla seconda metà del 2013. Anzi, ieri il premier ha fatto capire che i tempi si potrebbero accorciare: «Appena le Camere approveranno il parere (la nota di variazione di spesa varata dall'ultimo Consiglio dei ministri, ndr) il governo presenterà il Dl con i tempi operativi».
Fretta dettata dalle pressioni arrivate da più parti. Dallo stesso vicepresidente della Commissione Ue Antonio Tajani, che ritiene la restituzione dei debiti della Pa essenziale per dare respiro all'economia reale. E anche dalle associazioni datoriali, che presto vedranno il premier. «Dobbiamo utilizzare al meglio lo “spazio” conquistato a Bruxelles. I tempi annunciati sono lunghi e le risorse insufficienti», è l'avvertimento del presidente di Confcooperative Maurizio Gardini.
L'irritazione di Bruxelles riguarderebbe invece il fatto che il governo non ha contattato la Commissione per pianificare il rientro. Tanto che le cifre illustrate da Monti e Draghi, a Bruxelles non tornano.
Non convince il fatto che il governo italiano abbia messo sul deficit del 2013 un carico eccessivo (in rapporto al Pil il disavanzo crescerà dello 0,5% e andrà al 2,9%), quando la gran parte del debito commerciale dello Stato dovrebbe ricadere sul debito.
Questi i conti della Commissione. Ci sono 56 miliardi di euro di debiti dello Stato che sono stati già contabilizzati, ma non liquidati. Questi, se rimborsati interamente, peserebbero solo sul debito. Poi ci sono 14 miliardi di debiti non contabilizzati che andrebbero ad alimentare la spesa corrente e quindi il deficit. Solo questi rischiano di compromettere la procedura contro l'Italia.
Una possibile agenda della restituzione messa in conto da Bruxelles è più generosa e meno rischiosa per l'Italia di quella messa in campo dal governo italiano. Nel giro di due anni (2013-2014) si potrebbero restituire 56 miliardi e nel giro di tre (2013-2015) i restanti 14 miliardi, in modo da non incidere sul deficit.
Il governo ha messo in conto solo 40 miliardi in due anni.

Monti ha spiegato la scelta dicendo che «la presa di posizione della Commissione non significa un via libera illimitato». Vero, ma paradossalmente le ipotesi messe in campo da Bruxelles restano più generose di quelle studiate da Roma.

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