L'uomo entra in casa. Saluta la moglie. La signora è in cucina che sta preparando una delle sue specialità. Non guarda il librone delle ricette e neppure i post-it incollati sul frigorifero con tante proposte di pranzi e cenette. Tutte copiate dallo tsunami di programmi di cucina in tv. Guarda invece lo schermo di un vecchio palmare, il nonno degli smartphone: un Palm Pilot di fine anni Novanta. Le batterie durano una vita, il display è in bianco e nero ed è grande grande. Dentro la memoria, la signora ha copiato tutte le ricette. È appeso col velcro a lato dei fornelli. Le fa scorrere sul display e copia e cucina. Intanto l'uomo è andato in camera. Prima della doccia si è levato l'orologio da polso. È un vecchio Bulova Computron con i led rossi. Lo usa di giorno ed è utilissimo di notte. Lo pone sul comodino con lo schermo ricavato a lato della strana cassa inclinata di 45 gradi pensata, 40 anni fa, proprio per facilitare la visione dei numeri. Nel buio gli basta tastarlo un attimo e le cifre rosse s'accendono per tagliare l'oscurità come nessuna sveglia saprebbe fare in modo così poco invadente.
La cena è quasi pronta. L'uomo scende in salotto, si siede sulla vecchia poltrona, accende l'abat-jour posta su un vecchio televisore Schaub-Lorenz con struttura in legno. Non funziona più. Ma è meraviglioso come tavolino. E il vecchio schermo convesso con gli angoli arrotondati riflette e rimpicciolisce l'intera sala e le persone che passano. È come se andasse in onda un personalissimo e intimo grande fratello. Ma senza canone. Senza pubblicità, pay-tv o gracchianti interferenze del digitale terrestre. È come se fosse vivo quel tavolino. Vivo di cose di casa.
Un po' di musica. Ecco che cosa manca. L'uomo si alza e s'avvicina alla parete di fronte. C'è una mensola. Sopra, accanto a una pila di cd, la prima Playstation. Quella grigia. Sembra uscita da una breccia spazio temporale. L'uomo sorride. Il cd player comprato all'epoca è ormai rotto da un pezzo. Invece lei, lei la console, funziona. Le note di Simon and Garfunkel s'irradiano nell'abitazione. La moglie, dalla cucina, ascolta e gli propone «dai, stasera ti va di guardare il dvd del Laureato?». «Il riproduttore è rotto», risponde lui. «Allora usiamo il vecchio pc portatile, legge i dvd», suggerisce lei.
In tempi di crisi, di spread ossessivi, in un'epoca di posti di lavoro che saltano come pop-corn, verrebbe da pensare che il quadretto familiare appena descritto rappresenti una serata al risparmio. Niente affatto. Racconta invece il vivere vintage. Che è cosa ben diversa dal vintage. Non siamo qui a parlare di costosissimi juke-box anni Cinquanta, di flipper, di frigoriferi bombati e ricondizionati che fanno molto moda del momento e molti soldi in banca. Siamo qui a parlare, tra l'altro come ha fatto in questi giorni lo stesso Wall Street Journal, di ciò che di vecchio e tecnologico ci circonda mantenendo una sua utilità. Magari cambiando funzione e tipo d'utilizzo. Il vecchio televisore di legno che diventa mobile, appunto. La playstation che si trasforma in cd player. Il laptop obsoleto e lento che però è un ottimo e resistente dvd player. E avanti così. Il quotidiano statunitense decantava persino le nuove potenzialità dei primi iPod. Quelli che avevano giga di memoria da vendere se paragonati ai nostri smarthphone. Giga tutti destinati alla musica.
Il segreto del vivere vintage è custodito in tutto questo. Nel saper addomesticare il progresso riqualificando il passato. In America l'hanno capito. Da noi imbarazza.
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