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"Veltroni insegue Barack come una Cenerentola"

Il presidente emerito: "Uòlter ha bisogno di identificarsi con lui. Ma chi ha alimentato speranze rischia di provocare delusioni. Berlusconi è un affabulatore, riuscirà molto simpatico al presidente"

"Veltroni insegue Barack
come una Cenerentola"

Roma - Presidente Francesco Cossiga, pare che lei sia vaccinato contro la sindrome influenzale di quest’autunno, l’«obamanite».
«Vero, infatti non l’ho presa. Sa perché? Perché sono soltanto un povero professore di provincia prestato alla politica e alle istituzioni. Conosco i miei limiti».
Altri si sono lanciati in spericolate e affettuose para-analisi.
«Dimenticano che Obama ha vinto in Usa e l’Italia è un’altra cosa. Nello scacchiere strategico ed economico americano contiamo quel che contiamo: nulla... Essere obamiani non ha senso».
Non tirerà in ballo di nuovo Veltroni?
«No, Uòlter va capito. Cenerentola ha bisogno di identificarsi con la principessa. È, per così dire, lo spirito degli schiavi romani: essere schiavo di un senatore era molto meglio che essere lo schiavo di un povero commerciante...».
Alla luce di quanto dice, la battuta di Berlusconi non ha fatto né caldo né freddo, agli Usa...
«Chi ha protestato è stato qualche italo-americano... Cosa vuole che gli importi? E poi il mio amico Silvio non l’ha detto con cattiveria, tutt’al più ha voluto far ridere il presidente russo. Io penso invece che Berlusconi a Obama riuscirà simpaticissimo, perché è un grande affabulatore come lui. La vera notizia però è un’altra».
Quale?
«Che Obama ha telefonato anche a Uòlter, per ringraziarlo e porgergli i saluti della nonna keniota, sorella della cugina della nonna di Veltroni. Non lo sapeva? Anche Franceschini ha parenti in Uganda e Fioroni in Ruanda».
Al di là dell’ironia sui polli di casa nostra, ammetterà che Obama rappresenta per il mondo davvero un’altra America.
«Certo! È un evento storico per gli Stati Uniti, la fine dell’America degli wasp (white-anglosaxon-protestant) e cioè dei Padri Fondatori, e per così dire anche dell’America d’origine europea».
Arriva un’America meticcia.
«Un’America post-etnica che si avvia a diventare un’America delle “minoranze”: ispano-americane, indo-americane,cino-americane, afro-americane... La vera afro-americana è però Michelle, la moglie, mentre lui, Barack, è un americano occasionale, figlio di un keniota poligamo. Ha studiato nelle migliori università e non ha sofferto mai nulla... È un gran signore, si vede».
Che cosa farà, quest’America globalista?
«Sarà profondamente diversa, come l’America di Franklin Delano Roosevelt, prima che si convertisse all’aiuto militare alla Gran Bretagna. Il motto dominante tornerà a essere: America, first! Dunque non interventi in tutto il mondo per affermare i valori di democrazia e libertà, ma un’America che pensa a se stessa. Sia perché una larga parte dell’elettorato obamiano è pacifista e anti-militarista, sia perché una delle cause della crisi economica Usa sono le eccezionali spese militari».
Ritirerà le truppe?
«C’è chi ha fatto notare la faccia di Obama prima e dopo il briefing segretissimo che lo ha messo al corrente della vera situazione. Si dovrà ridimensionare la presenza militare americana: domani l’Irak, poi l’Afghanistan, dove i talebani sono ormai ad un passo dal controllare il settantacinque per cento del territorio, e poi i Balcani. E se l’America vuole riallacciare il dialogo con la Russia dovrà rinunziare al dispiegamento dei radar e dei missili terra-aria in Polonia e nella Repubblica Ceca, rallentare il processo di effettiva indipendenza del Kosovo, abbandonare la Georgia. E poi dovrà colloquiare con l’Iran, essere necessariamente meno rigido sul problema dell’armamento nucleare di questo Paese con gli Hezbollah e con Hamas e mettere il freno ad Israele, inducendola a cedere la Transgiordania ai Palestinesi, «scegliere» Hamas contro Al Fatah...».
L’Europa sarà tagliata fuori?
«Sarà un problema ben grave per Obama, e s’intreccia anch’esso con la crisi economica».
In che senso?
«Il primo problema, per il nuovo presidente, sarà quello di risolvere la crisi economica, e una via necessitata è quella di farla pagare al resto del mondo, e quindi anche all’Europa e allo spazio economico del Commonwealth, mettendo dazi, adottando altre misure protezionistiche e manovrando sul valore del dollaro a scapito dell’economia europea».
Dovrà accontentare un elettorato molto composito.


«Questo è un suo punto debole. Ma uno come lui, che ha alimentato grandi speranze, rischia di provocare grandi delusioni. Quindi o sarà davvero un presidente che resta nella storia, o uno tipo Carter, quel ridicolo venditore di noccioline...».

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