Il vizio di Casini: scaricare gli altri per salvarsi

Il leader Udc incolpa i montiani sul candidato ex Mps. E non è la prima volta

Il leader dell'Udc, Pier Ferdinando Casini
Il leader dell'Udc, Pier Ferdinando Casini

Roma - Siccome Casini non vuole casini fa il pesce in barile. Come sempre. A raccontare uno spaccato del leader dell'Udc è il Fatto Quotidiano di ieri che narra il Casini odierno e quello d'antan.
Oggi Casini scarica Alfredo Monaci, ex consigliere d'amministrazione dei Monte dei Paschi di Siena durante la gestione Mussari, candidato nella lista Monti a Montecitorio. Stuzzicato sull'opportunità di quella candidatura, Casini s'è allontanato da Monaci manco fosse un appestato: «Dovete chiederlo a lui» (a Monti, ndr). Casini va fiero di essere il centro ma ora dice: «Io non c'entro». Quando gli conviene fa sempre così. Attenzione: Monaci non è coinvolto nell'inchiesta sulla banca ma con la banca ha avuto a che fare eccome dal 2009 al 2012. Idem con il mondo casiniano visto che Monaci è presidente di Fabrica Immobiliare Sgr, la joint venture fra Mps e Francesco Gaetano Caltagirone (suocero di Casini). Tuttavia per Casini è opportuno allontanarsi da Monaci il più possibile, così come fece in passato con Gianni Prandini.
Prandini, democristiano, ex ministro dei Lavori pubblici, condannato in primo grado a sei anni e quattro mesi per tangenti, assolto in appello per un vizio di procedura sulla questione delle competenze del tribunale dei ministri e poi assolto perché il fatto non sussiste, vicinissimo al casiniano Lorenzo Cesa che l'accusa riteneva esserne il cassiere, finì nell'occhio del ciclone della magistratura. Prandini si difese col coltello tra i denti e tutelò i suoi compagni di partito. Si aspettò che lo facessero pure i suoi colleghi democristiani. Peccato che proprio Casini - ricorda il Fatto - non solo lo scaricò ma ne attribuì ogni responsabilità. Pier Ferdinando, davanti ai magistrati, il 19 ottobre 2000 disse: «L'organizzazione di tutto quello che non erano attività di corrente erano esclusivamente a carico dell'onorevole Prandini... Non penso che possa aver pagato sempre tutto di tasca sua... Per cui è ovvio che ci saranno stati dei finanziatori, ma io le fonti non le conosco».
Insomma, tutta colpa sua. Prandini, ovvio, non la prese bene. Tanto che il 14 marzo 2001 scrisse a Casini una lettera al curaro: «I tuoi recenti manifesti “100% di lealtà e coerenza” sono in stridente contrasto con la tua squallida testimonianza. Ti preannuncio che ora sono nella condizione obbligata di dare nome e cognome alla XY sin qui utilizzata per non dichiarare il tuo contributo al fondo cassa della corrente». Quella lettera, depositata sulla scrivania dei magistrati, non ha sortito alcun effetto. Se non una rissa tutta interna ai due pezzi grossi democristiani che si sono sempre chiamati amici pugnalandosi a vicenda alla schiena.


Prandini, riporta il Fatto quotidiano, oggi lamenta che ci sono voluti 14 anni per essere scagionato totalmente e a Pier Ferdinando dedica parole che sono carta vetrata. Dice, in merito a quella «squallida testimonianza»: «Casini è fatto così: è uno che ha goduto nella Prima Repubblica e fa il moralista nella Seconda». E pure nella Terza.

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