Mark Zuckerberg dice che così è più semplice: tutte le mattine, quando si alza, sa già che cosa indosserà. Gli basta aprire il suo cassetto - l'unico - e trovare, impilate, le stesse, identiche t-shirt con cui è fotografato da anni, in qualunque occasione: cambia solo, ogni tanto, la sfumatura più o meno scura di grigio (che E.L. James si sia ispirata a lui per il suo bestseller quasi porno, visto poi che anche il suo Mr. Grey è un giovane miliardario?). Una monotonia calcolata a tavolino, perché è «troppo impegnato» e in questo modo fa più in fretta. Il fondatore di Facebook veste sì «the same old grey t-shirt», cioè «la solita vecchia maglietta grigia» come l'ha definita il Wall Street Journal, ma non per mancanza di fantasia, soltanto per comodità. E perché la sua Priscilla occupa tutto il resto dell'armadio, come lo stesso Zuckerberg ha confessato in tv a Matt Lauer di Today. Il quale (come ha anticipato il Daily Mail) gli ha chiesto: «E quante ne ha, dodici di queste magliette?». Ma no, ha detto Zuckerberg: «Almeno una ventina». Per lui, la massima svolta in fatto di abbigliamento è la felpa con cappuccio, quella che ostentò anche a Wall Street (se non era un messaggio quello, che cosa se no).
Del resto Zuckerberg appartiene alla categoria di «quelli che possono», e nello specifico che possono fregarsene dei codici di abbigliamento, vestirsi in modo ossessivamente sempre uguale, e pure inspiegabilmente di basso profilo, visto il patrimonio. Quindi sembra difficile credere che sia solo per comodità, e non per dire in faccia al mondo: «Io posso, e voi dovete prendermi così». E soprattutto: «È così, proprio vestito così, con le magliette sempre uguali, che ho successo».
Giorgio Armani, il «re» della moda, indossa magliette e pantaloni blu come una divisa, e nessuno potrà mai sospettare che non abbia il genio per cambiare abito. Ma la sua ormai è quasi una uniforme, un prolungamento esteriore dell'identità, come spiegava anche Steve Jobs, l'uomo del dolcevita nero (insieme ai Levi's e alle scarpe da ginnastica): ne possedeva un centinaio, tutti fatti apposta per lui dal designer giapponese Issey Miyake, a cui Jobs avrebbe voluto commissionare una divisa aziendale, se alla Apple tutti non si fossero opposti clamorosamente all'idea. E così Jobs ripiegò sulla divisa personale. La serialità colpisce, perché non è da tutti. Non è da tutti rifornirsi da mezzo secolo sempre dallo stesso produttore di borse, come la Regina Elisabetta, fedele ai londinesi di Launer. Non è da tutti presentarsi alla televisione russa con la solita maglietta grigia come Zuckerberg (che però l'altro giorno all'incontro col primo ministro Medvedev si è messo completo scuro e cravatta). Solo chi è molto, molto forte può permettersi l'irriverenza di non cambiare abito. Di sopportare le critiche, le accuse di sciatteria. Di spiccare, senza potere essere buttato fuori, anche in una serata di gala, quando tutti intorno sono in smoking: come Sergio Marchionne, che ovunque arriva col suo maglioncino nero (tranne che da Papa Ratzinger).
Perfino - come ha raccontato Maurizio Molinari sulla Stampa - quando ha ricevuto il premio Eisenhower alla Public Library di New York, e ha spiegato che lui è un «lavoratore del metallo errante», insomma viaggia in continuazione, spesso di notte per non perdere tempo, e quindi ha dovuto abbandonare il suo vecchio stile per uno «monastico monocromatico, nero su nero».
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