Avanti e indietro. Hotel e Ariston, pochi passi in fondo. Certo, la frangia non è mai fuori posto, ma Gianni Morandi non si applica così tanto neanche per la maratona di New York. «L’avevo detto subito che avrei rifatto il Festival, no?», spiega in una pausa delle prove. Beato come una pasqua. In quest’ultima intervista prima di dare il ciak al nuovo Festival (ossia domani nella rituale conferenza stampa), il presentatore in capo fa il bilancio della vigilia. E le previsioni per lo show. Con le dita incrociate, ovvio. Ma pure con la sicurezza che per una settimana l’Italia sarà morandicentrica, Celentano permettendo.
Scusi Morandi, lei ha esordito nel 1962 con Andavo a cento all’ora. Ora presenta il Festival. Non poteva fare meno fatica per celebrare mezzo secolo di carriera?
«Finché avrò fiato continuerò a correre e a fermarmi non ci penso proprio. Tanto più che, per me, la seconda edizione ha un pizzico di rischio in più».
Ancora di più?
«E la cosa mi incuriosisce molto».
Però i suoi colleghi stranieri dopo cinquant’anni sono tutti in pensione. O bolliti.
«Beh, non tutti dai.... Paul McCartney è eccezionale ancora oggi. E Mick Jagger pure. La vita sì va vissuta a cento all’ora a qualsiasi età, altro che».
A furia di presentare Festival non è che Morandi si sia «pippobaudizzato»?
(Ride - ndr). «L’ho detto io per primo. Ma era soltanto una battuta. Chissà, magari il prossimo anno torno a Sanremo come cantante in gara. Se riuscissi a trovare una bella canzone, perché no?».
A proposito, dai cantautori storici ai rapper, c’è ancora diffidenza verso la gara sanremese.
«Però l’anno scorso c’era Vecchioni, quest’anno ci sono Dalla, Bersani, Gigi D’Alessio e Finardi. Oltre a molti giovani interessanti. Guardate che, per venire al Festival, bisogna avere la canzone giusta. Ma c’è un’altra cosa che mi dispiace di più».
Ossia?
«Ci sono alcuni grandi della canzone italiana che devono molto a Sanremo ma non prendono minimamente in considerazione l’idea di tornarci».
Celentano ha detto che il Festival non sarà né rock né lento ma addirittura hard rock.
«Bello no? Forse finalmente faremo quello che non ci riuscì nel 1962. A Bellaria, in Romagna, lo conobbi e lui mi disse: “Vieni nel Clan”. Io avrei accettato ma il mio impresario, Lionetti, me lo impedì perché voleva facessi la mia strada da solo. Perciò adesso non vedo l’ora che Celentano sia sul palco: è il più grande, il più originale. E io sono il suo primo fan».
Dicono che lui parlerà di articolo 18, di mutui, di banche, di scontrini fiscali.
«Gli piace confondere le carte. Prima mi dice: «Sai farò questo». Poi il giorno dopo mi dice tutt’altro. Qualsiasi cosa abbia in testa, sono sicuro che sarà una sorpresa. E ci permetterà di fare una riflessione nuova».
A proposito di riflessioni: l’«effetto MM», cioè Morandi e Mazzi, pare faccia bene alle canzoni del Festival.
«Dopo un anno, gli album di Modà e Gualazzi sono ancora tra i primi trenta posti della classifica».
E stavolta?
«Sarebbe bello ripetere un exploit così».
La crisi ha reso più disponibili al Festival anche chi prima non ci pensava neanche?
«Mazzi ed io abbiamo pensato molto prima di decidere. In ogni caso, le 14 canzoni in gara per noi sono le migliori».
Se funzionassero anche in classifica, la discografia (alla canna del gas) festeggerebbe.
«E quindi Sanremo confermerebbe la sua capacità di rivalutare la discografia».
Il Festival è sempre una sorte di «discorso sullo stato della Nazione». Dalla prostituzione a Dio, stavolta le canzoni hanno testi importanti e c’è più realistico ottimismo del solito. Segnali di riscossa?
«Già l’anno scorso, festeggiando i 150 anni dell’unità, siamo stati un po’ più orgogliosi di essere italiani. Forse è ora di ritrovare la stima di noi stessi e del nostro passato per avere di nuovo sogni per il futuro. Abbiamo tutto per farlo: capacità, conoscenze, cultura e determinazione».
Incombe Fiorello. Non dormite all’idea di poter fare meno ascolti del suo ultimo show?
«Lo share di Sanremo va confrontato solo con le precedenti edizioni. Fiorello ha fatto uno spettacolo straordinario, è bravissimo e l’ho invitato anche l’anno scorso. Ma Sanremo combatte solo contro se stesso: è una gara che va avanti da 62 anni».
Il mestiere del Festival è quello di scoprire e consacrare talenti. E da sempre il pop esplode in tv. Ma perché oggi tanti criticano la formula talent show?
«Forse perché siamo individualisti. Alle volte dico per fortuna. Altre volte dico purtroppo. Il Festival di quest’anno ha un cast di giovani di tutto rispetto. E alcuni devono molto proprio ai talent».
A proposito di talenti: canterà
(Ride di nuovo - ndr) «È dall’anno scorso che tenta di cantare... Magari stavolta sarò io a chiedergli di prendermi come attore nel suo prossimo film».
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