ParigiIsabelle Huppert è incerta sul futuro dellattore nella società odierna che definisce «più che balzana completamente folle, ignara dei pericoli che corre e incamminata verso la rovina». È quindi più che naturale che le si chieda la ragione di tanto pessimismo mentre, tra la replica pomeridiana e quella serale di Un tram che si chiama desiderio, laccompagno in brasserie per una robusta colazione allalsaziana.
Come mai è tanto pessimista sul futuro dellEuropa?
«Ma cosa dice! Io non mi preoccupo dellEuropa ma di tutto il pianeta! Si rende conto che, condannati a sparire, ci limitiamo a contemplare il passato?».
Allude alla ripresa del Tram che si chiama desiderio che, con la regia di Krzysztof Warlikowski, qui allOdéon ha suscitato un putiferio tra i tradizionalisti che hanno urlato alla dissacrazione di Tennessee Williams e i fautori della rilettura di uno dei titoli storici del cinema e del teatro del dopoguerra?
«Se crede di cogliermi in contraddizione, si sbaglia di grosso. Non avrei mai accettato di portare in scena il testo cardine dellangoscia del ventesimo secolo come una reliquia. Diciamo che si tratta invece di una testimonianza».
Non la seguo più.
«Mi ascolti bene. Dopo la scomparsa di Chabrol che non solo è stato il mio mentore ma luomo che mi ha fatto scoprire attraverso il cinema il mondo spaventoso in cui viviamo dove i confini tra linnocenza e la colpa si fanno sempre più esili, io Isabelle sono tornata sulla scena».
Per cosa?
«A testimoniare dal vivo il degrado della modernità, il disprezzo dellintelligenza, la paura che nutriamo nei confronti dellavvenire».
È sicura che troviamo tutto questo nel copione strappalacrime definito da Cocteau la risposta made in Usa alla Signora dalle camelie?
«Si è reso conto o no che, col permesso degli eredi, il testo non è più la patetica storia di una donna caduta nellabiezione del sesso? La vicenda di Blanche Dubois che, vittima del disastro succeduto alla guerra, finisce tra le grinfie di Kowalski che la fa precipitare nella follia è un cliché superato. Per me, il Tram è una favola politica».
Si spieghi meglio.
«Nello spettacolo, che spero di portare presto sullo schermo, Blanche non è uneroina rétro ma il fantasma di quella cultura cui abbiamo voltato le spalle. Si staglia sulle vetrate della casa borghese della sorella Stella e del cognato Stanley recitando un verso di Marguerite Duras: Se trovi una conchiglia sulla spiaggia, componi il numero Oceano 00. Questo non le dice niente?».
Dice che siamo vittime di...
«Dei meccanismi che abbiamo varato per assicurarci una risposta consona alle circostanze. Il guaio è che ormai non controlliamo più ciò che abbiamo creato e lo sconforto ci avvicina sempre più al suicidio».
Questo mi ricorda 4.48 Psychosis, il copione di Sarah Kane che ha portato anche in Italia.
«In quel testo la disperazione mi aveva spinto allautismo al punto di muovere solo il volto e le mani eliminando quasi del tutto la parola: è questa la condizione da combattere».
Non teme di ritrovarsi fuori gioco come attrice basandosi in futuro su scelte radicali come queste?
«Ho un marito e soprattutto tre figli da crescere. Che madre sarei se mi vedessero sgambettare in teatro o sul set ignorando lo stato di minaccia che rischia di travolgerci?».