Cultura e Spettacoli

Io, robot vi cambierò la vita

I bioingegneri Giulio Sandini e Vincenzo Tagliasco spiegano come sarà il nostro futuro in compagnia delle macchine antropomorfe

Giulio Sandini e Vincenzo Tagliasco sono bioingegneri del laboratorio di robotica avanzata dell’Università di Genova. Tagliasco è autore del Dizionario degli esseri umani fantastici e artificiali (Mondadori), Sandini, che è stato ricercatore alla Normale di Pisa e all’Harvard University, ha il raro privilegio di essere consulente robotico nella terra dei robot, il Giappone. Insieme rispondono ai dubbi di un profano sui loro progetti di “robot antropomorfi”.
Intanto, cos’è la robotica antropomorfa?
«L’obiettivo è lo studio del funzionamento del cervello umano attraverso la progettazione e la realizzazione di sistemi artificiali antropomorfi. Costruiamo modelli artificiali sulla base delle attuali conoscenze “neuroscientifiche” e utilizziamo tali modelli “fisici” per comprendere i meccanismi di controllo del cervello e della mente umana».
Tra quando avremo robot che fanno la spesa per noi, la coda alla posta, puliscono casa, scendono a spostare l’auto quando c’è il lavaggio delle strade?
«Il tempo in ambito scientifico si misura in decenni. Certamente robot in grado di prendere decisioni in modo autonomo e di agire di conseguenza in situazioni tipo quelle che lei descrive sono ancora molto lontani. Un obiettivo più abbordabile, diciamo nel corso dei prossimi 10 anni, è quello di realizzare sistemi in grado di imparare dai loro stessi errori e attraverso l’interazione con l’ambiente e con altri esseri umani o artificiali. Con l’apprendimento i robot avranno acquisito la capacità di ricordare e di associare eventi passati a situazioni contingenti e, in ultima analisi, la capacità di affrontare, e in qualche misura risolvere, situazioni inattese. In questo modo essi non saranno ancora in grado di andare a fare la spesa da soli ma, forse, di imparare ad aiutare noi umani a farla. Non ci sono problemi scientifici e tecnologici che impediscono di avere i robot da Lei delineati e auspicati. Tuttavia i costi, in alcuni casi, sarebbero troppo elevati e non si avrebbe convenienza a costruirli».
Davvero i robot avranno un ruolo importante nel nostro quotidiano?
«Certamente, e in modo sia diretto sia indiretto. In modo diretto penso diventeranno gli elettrodomestici della seconda metà del XXI secolo. Maggiordomi, infermieri, aiutanti artificiali in grado di intervenire e “lavorare” nelle case e negli uffici, in grado di supportare l’essere umano non solo in compiti “fisici” e in ambienti domestici come lavare la biancheria o i pavimenti e spostare pesi, ma anche in compiti che richiedono una più raffinata capacità di ragionamento e di decisione (quando aprire e chiudere le finestre, riempire il frigorifero, ordinare la carta per la stampante), eventualmente, anche in ambienti non amicali. In modo indiretto, le funzioni che avremo realizzato nei robot consentiranno di sviluppare ulteriormente le capacità “cognitive” di altri manufatti. Per esempio, elettrodomestici in grado di adattarsi alle capacità di chi li utilizza o sistemi di monitoraggio “intelligente” in campo automobilistico».
È vero che state lavorando a robot che imparano da soli? Cosa vuol dire?
«Vuole dire progettare robot che siano in grado di misurare i loro stessi errori e di correggerli. L’interesse per lo studio di sistemi che imparano deriva dal fatto che la capacità di apprendere è una delle componenti principali dell’intelligenza umana. Reti neurali artificiali e altri tipi di programmi sono già in grado di imparare molte cose, sia pure in domini limitati. Il punto che non è stato ancora completamente compreso è che l’apprendimento non è solo una questione quantitativa, ma qualitativa e può avvenire secondo molte direzioni diverse».
Qual è la vera differenza tra un cervello umano e una mente artificiale?
«Ci sono alcune differenze fondamentali. Una delle più importanti è rappresentata dal fatto che le macchine non hanno motivazioni proprie. Un essere umano dotato di mente, al contrario, è caratterizzato in primis da ciò che vuole e desidera: dalle sue motivazioni. Noi siamo, prima di tutto, ciò che vogliamo. Io voglio dunque sono».
Cosa potranno fare e cosa non potranno mai fare i robot?
«In linea di principio potranno fare tutto quello che fanno gli esseri umani. I robot rappresentano l’ingresso dell’artificiale nel mondo dell’autonomia. Un robot è una macchina dotata di autonomia. Aristotele diceva che ciò che caratterizza gli esseri viventi è il fatto che sono autonomi. Bene. Il robot è l’artefatto che acquista una sua autonomia. Il processo avverrà per gradi, anche se, come è avvenuto nell’evoluzione naturale, assisteremo probabilmente a salti e improvvise accelerazioni».
Ma i robot antropomorfi avranno anche i nostri difetti?
«Il sogno dei visionari è quello di costruire robot dotati di coscienza fenomenica, ossia in grado di fare esperienza. Quello che i robot sicuramente non faranno è scimmiottare emozioni e comportamenti propri dell’essere umano che li ha messi a punto, proprio perché è un essere vivente, perché è una tappa della lunga storia dell’evoluzione e perché è fatto di sangue, carne, ormoni neuropeptidi e così via. Ma l’umanità ha anche una grande variabilità che le permette di uscire dagli schemi e di produrre tanti difetti, ma anche tante soluzioni e tante innovazioni che nessun modello avrebbe potuto prevedere. I robot del futuro dovranno essere in grado di adattarsi all’infinita mutevolezza dell’ambiente. Se vorranno essere veramente adattabili dovranno manifestare anche quella variabilità che, a volte, possiamo considerare come un difetto.

Si sbaglia per imparare».

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