Io sudista, ringrazio la Lega: ci ha ridato Patria e speranze

Le sparate di Bossi hanno costretto persino la sinistra a riscoprire il nazionalismo. Invocando interventi al Nord il Carroccio ha accelerato quelli per il Meridione

Io sudista, ringrazio la Lega: 
ci ha ridato Patria e speranze

Messaggio estivo di un meridionale meridionalista e sudista: grazie Bossi - e Dio stramaledica non gli inglesi ma quelli che le hanno amputato la testa nella statua su a Recoaro, ministro - grazie Calderoli, grazie Cota, grazie credenti delle valli padane, grazie Lega Nord. Con il solito tempismo, ci siam detti, la Lega ad agosto invade lo spazio mediatico con dichiarazioni roboanti e urticanti escogitate per eccitare gli animi dei militanti, le anime inquiete della maggioranza e le anime belle dell’opposizione, così i mezzi di informazione trovano qualcosa di cui occuparsi e i politici qualcosa da dettare alle agenzie anche in pantaloncini corti.

Però quest’anno è diverso. Il coltello della retorica leghista ha affondato la punta in un tratto particolarmente debole e burroso del nostro senso comune. Le cosiddette «provocazioni» sfornate a turno dall’intero stato maggiore leghista hanno funzionato meglio del solito come reagente, come liquido di contrasto che ci ha costretto a prendere coscienza, in modo brusco quanto vogliamo e comunque in modo efficace, di problemi fino al giorno prima né tematizzati nell’agenda pubblica né percepiti come urgenze. Uno dietro l’altro, senza bisogno di ampolle e dio Po o manifestazioni in divisa celtica, gli affondi leghisti sono arrivati come missili su un quartier generale annoiato che ha dovuto approntare le proprie difese in fretta e furia. Il conflitto è innescato, ed è il sale della politica.

Grazie Lega, dunque, perché l’abbiamo fatta finalmente finita con la storia che gli italiani trovano l’Italia solo quando gioca la nazionale di calcio, ritrovandoci all’improvviso più nazionalisti del solito. A chi, se non alla Lega, dobbiamo dire grazie, noi italiani, per aver d’un tratto scoperto che la nostra identità nazionale è una bandiera stracciata di cui nessuno s’è occupato per troppo tempo? Addirittura leggiamo Michele Serra che incita la sinistra a scoprirsi patriottica e la destra a riscoprirsi risorgimentale e le sprona tutte e due a organizzare, di qui al 2011, in un’orgia di festoso senso nazionale, imponenti manifestazioni inondando di tricolori l’Italia intera, per contrastare l’orco leghista che quel tricolore vuole sbiadire in qualche bandierina regionale.

È la Lega che dobbiamo ringraziare se poi ammiriamo Antonio Scurati che ritrova l’identità nazionale persino all’autogrill in un assolatissimo pomeriggio agostano, e ci ricorda che per quello straordinario e gigantesco «racconto di finzione» che è l’identità italiana sono morti a milioni e si sono immolate lodi di poeti e scrittori: è il reagente leghista che l’ha indotto a mettere a fuoco quest’immagine epica, davvero fantastica. E, se non è certo, è probabile che il professor Galli della Loggia non avrebbe attaccato una giusta polemica per la lentezza con cui ci avviciniamo a celebrare il centocinquantesimo anniversario dell’unità nazionale, e il presidente della Repubblica non avrebbe inviato una lettera in cui chiede di far presto, e non avremmo avuto contezza della povertà del nostro senso civico e non avremmo finalmente capito che non possiamo andare avanti a ’O sole mio per farci nazione, se i leghisti non avessero dato fuoco alle polveri sottili posate stancamente sul nostro sentimento di appartenenza comune. E se la destra patriottica si ricorda di fare il suo mestiere, e se mai i nostri ragazzi nelle scuole torneranno a studiare la storia del tricolore o a cantare l’inno di Mameli, e se ci ricordiamo che la lingua italiana e non i dialetti è ciò che ha reso possibile la mobilità sociale tra le classi, è perché è arrivata la proposta di costituzionalizzare (o quasi) le parlate regionali e perché Bossi ha reclamato di sostituir Mameli con Giuseppe Verdi.
E poi. Finalmente qualcosa si sta agitando nel Mezzogiorno per far sì che non sia definitivamente Mezzanotte. Ma a cos’altro, se non alla reazione rispetto all’incessante batter leghista sulla questione settentrionale, dobbiamo la riscoperta in forma nuova della questione meridionale? Non è certo che l’idea della Banca del Sud o della nuova Cassa del Mezzogiorno avrebbe avuto accelerazione se qualcuno - e chi se non i leghisti? - non ne avesse denunciato preventivamente i possibili abusi. E poi ancora: a chi, se non alle richieste anche violente di cambiar registro rispetto ad antichi costumi assistenzialisti, dobbiamo l’idea di ripensare il meridionalismo lontano dagli antichi vizi, compresa la sciocchezza del «partito del Sud»? E da chi è arrivato lo stimolo del Sud a far da sé senza dover per forza e per sempre andare a ricasco di generosi trasferimenti di risorse per tappar buchi e cancellare le prove di pessime amministrazioni locali? Mettiamoci anche le polemiche a marachella sul boicottaggio incrociato dei prodotti terroni o nordici, ma queste sì che sono chiacchiere da bicchiere serale.
Proseguiamo. La polemica sulle gabbie salariali, è ovvio, si trascinerà a lungo, anche perché gli ultimi dati confermano che non è proprio veritiero il quadro di un costo della vita nettamente superiore al Nord rispetto al resto d’Italia.

E però, l’ipotesi di trasformare il Mezzogiorno in una grande area a fiscalità di vantaggio in cambio di una maggiore flessibilità delle remunerazioni è, certamente, frutto e risposta alla secca provocazione leghista di riportare nella nostra nazione i salari differenziati. Grazie Bossi, grazie Calderoli, grazie Lega.

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