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Irak Generali Usa confusi: ora vogliono i caschi blu

Ancora una carneficina in Irak, a confermare come il Paese sia tutt'altro che stabilizzato. Il nuovo massacro è avvenuto all'ingresso di una caserma dell'esercito ad Al Balassim, 25 km a ovest della capitale, dove un centinaio di miliziani delle formazioni sunnite filogovernative Sahwa era in fila in attesa di ricevere lo stipendio.
La morte per loro è arrivata in bicicletta. Un attentatore kamikaze infatti si è avvicinato pedalando ai militari e si è fatto esplodere. La violentissima deflagrazione ha investito in pieno l'obiettivo e ha provocato 43 morti e 41 feriti, molti in gravi condizioni. Difficile dire quale sia la matrice dell'attentato: l'indiziato numero uno è Al Qaida, ma non si esclude un regolamento di conti tra tribù sunnite.
Certo è che da mesi ormai le milizie sunnite del "risveglio", volute dall'allora comandante statunitense in Irak, David Petraeus, e che tanto hanno contributo a mettere alle corde la guerriglia, sono diventate un caso imbarazzante. I suoi membri sono oggetti di costanti attacchi, insieme alle rispettive famiglie. Il governo iracheno non mantiene l'impegno a integrare le milizie lealiste nelle forze armate, mentre persino il pagamento degli stipendi avviene irregolarmente e con ritardo. Ciò rischia di tentare gli armati sunniti a riavvicinarsi alla guerriglia e accentua le tensioni etniche, mentre lo stallo istituzionale dopo le elezioni parlamentari di marzo non è stato ancora risolto.
Ma c'è di peggio. Il presidente statunitense Barack Obama, in crisi di popolarità e in difficoltà su più fronti, non vuole saperne di rallentare il ritmo del ritiro delle forze americane dal Paese: le truppe combattenti dovrebbero essere ritirate entro fine agosto, il resto alla fine del prossimo anno. Cosa in realtà impossibile, visto che i progressi in Irak sono lenti e procedere al ritiro a prescindere da quello che accade nel Paese rischia di distruggere ciò che è stato realizzato in questi anni. Al Pentagono sono decisamente preoccupati, agli ordini del comandante in capo si obbedisce, però l'evidenza di quello che accade in Irak suggerisce di rallentare o fermare il ritiro dei soldati e di negoziare con Bagdad un nuovo accordo per consentire alle truppe americane di aiutare la stabilizzazione.
I generali americani sanno perfettamente che l'Irak non è pronto a difendersi da nemici esterni e non riesce controllare la guerriglia né a stemperare le divisioni interne. E non sapendo bene che pesci pigliare, il comandante delle forze Usa in Irak, il generale Ray Odierno, ha avanzato un’idea incredibile: secondo l'ufficiale si dovrebbe pensare a organizzare una missione di peacekeeping dell'Onu, almeno per dividere la minoranza curda a nord dalla parte araba del Paese. L'integrazione delle formazioni curde, di fatto un esercito indipendente, nelle forze armate irachene non è stato realizzata e la tensione continua a crescere. Secondo Odierno lo schieramento dei caschi blu, nell'ambito di una operazione di mantenimento della pace, ex Capitolo VI della Carta della Nazioni Unite, potrebbe evitare la secessione dei curdi, un conflitto con la maggioranza araba, con il probabile intervento della Turchia. E se un generale statunitense invoca i caschi blu, vuol dire che i problemi sono davvero seri.
È anche chiaro che non devono essere i militari a inventarsi soluzioni politiche per scongiurare il disfacimento dell'Irak. Questo dovrebbe essere il ruolo della Casa Bianca. Obama deve prendere atto che un disimpegno affrettato dall'Irak può provocare una catastrofe nella regione.

Ma non sembra questa la preoccupazione di un presidente che più che altro cerca di limitare i danni nelle prossime elezioni statunitensi di metà mandato e che vorrebbe mantenere almeno una delle promesse fatte agli americani durante la campagna elettorale.

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