Bruxelles guarda a Dublino, e con preoccupazione. Ce n’è ben donde. Giovedì 12 in Irlanda si tiene un delicatissimo referendum sulla ratifica del Trattato di Lisbona, che accentua la collaborazione tra gli Stati membri dell’Unione europea in numerose materie ma fa temere molti che avvicini il giorno della nascita di un superstato che cancellerebbe le distinte sovranità. Tutti gli altri ventisei Paesi dell’Ue ratificheranno il documento per via parlamentare (il limite temporale è la fine di quest’anno), ma l’Irlanda fa eccezione: le sue leggi impongono che tutti i trattati europei siano sottoposti a voto popolare. Ciò comporta maggiori rischi di bocciatura, come hanno dimostrato in passato i casi della Francia e dell’Olanda, i cui elettorati pronunciarono nel 2005 due squillanti «no» alla Costituzione europea.
Anche dall’Irlanda potrebbe arrivare una pessima sorpresa per quanti hanno a cuore la costruzione di un’Europa unita. I sondaggi segnalano infatti per la prima volta, a pochi giorni dalla chiamata alle urne, una maggioranza di contrari: 35 su cento, contro 30 favorevoli e i rimanenti 35 divisi tra incerti e astensionisti, secondo l’Irish Times.
Sono dati sorprendenti, se si pensa che l’Irlanda è il tipico esempio di un Paese che dall’adesione all’Unione europea ha tratto evidenti vantaggi. È sufficiente un breve viaggio attraverso l’«isola verde» per accorgersi di quanti siano i cantieri di grandi opere aperti con i finanziamenti di Bruxelles, per non dire delle garanzie concesse in materia di sovranità fiscale che permettono a un Paese un tempo economicamente depresso di continuare a fiorire a ritmi eccezionali attirando investimenti dall’estero.
Giovedì prossimo, tuttavia, potremmo assistere alla bocciatura del Trattato europeo ad opera dei soli irlandesi. Un disastro provocato non da una chiara convinzione antieuropea della maggioranza degli elettori, ma dalla loro ignoranza: sembra infatti che la principale ragione addotta da quanti intendono votare no alla ratifica del trattato di Lisbona sia il non voler dare il proprio sostegno a qualcosa che non capiscono.
Brian Lenihan, ministro delle Finanze irlandese, parla senza mezzi termini di «confusione» nella testa dei suoi concittadini e di «insensatezze» contenute nei manifesti - che tappezzano l’Irlanda - del fronte referendario del «no». Vi si afferma tra l’altro che il Trattato costringerebbe l’Irlanda a subire cose che non vuole, come alzare le tasse che le imprese devono pagare o legalizzare l’aborto. Assurdità, dice Lenihan, che ricorda come un’eventuale vittoria del «no» avrebbe come effetto la rinegoziazione di un trattato sui cui contenuti la presidenza di turno irlandese del 2004 aveva esercitato una valida influenza. «Tutto verrebbe rimesso in discussione - spiega il ministro -. Il no avrebbe insomma esattamente l’effetto che i suoi sostenitori temono in caso di vittoria del sì».
Sta di fatto che il solo partito irlandese a prendere apertamente posizione contro il Trattato di Lisbona è quello degli estremisti nazionalisti di sinistra del Sinn Fein (4 seggi sui 166 del Parlamento di Dublino). Ieri, si poteva leggere su Le Monde, alcuni suoi militanti arringavano i frequentatori del mercato del bestiame di Tullamore - una cittadina del centro dell’Irlanda - con slogan come «Salviamo l’Irlanda rurale!», «Salviamo la nostra neutralità militare!», «Salviamo la nostra indipendenza e il nostro potere in Europa!». E i commenti degli allevatori, che dall’Unione europea hanno tratto solo vantaggi, facevano cadere le braccia: «Non ci capisco niente, ma il mio istinto mi suggerisce di votare no»; «sono fiero dell’indipendenza del mio Paese, in quell’Europa là non ascolteranno la nostra voce»; «un Paese piccolo come il nostro rischia di farsi assorbire».
Il tutto mentre l’associazione degli agricoltori e degli allevatori irlandesi chiede ai suoi iscritti di votare a favore del Trattato. Una questione di istintiva sfiducia in un’Europa lontana, troppo complicata per darsi la pena di capirla e per giunta percepita come nemica delle identità nazionali. È questo il mix che rischia di spingere gli irlandesi a votare «no» nel referendum di giovedì prossimo.
Rischio concretissimo, se il presidente della Commissione europea (una sorta di «governo» dell’Ue) José Manuel Barroso si è sentito in dovere di rivolgere un appello agli elettori irlandesi perché «si avvalgano del loro diritto di voto»: una chiara esortazione a riflettere rivolta a quanti pensano, sbagliando, che la posta in gioco sia modesta.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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