Islamici arrestati, progettavano stragi

MilanoLa volontà di colpire c’era, le competenze «tecniche» anche, la fase operativa era già iniziata con i sopralluoghi sui possibili obiettivi. Insomma c’erano tutti i presupposti giuridici per far scattare le manette. E ieri gli uomini della Digos, guidati da Bruno Megale, sono entrati in azione arrestando due marocchini residenti a Giussano, con l’accusa di terrorismo. I pm Armando Spataro e Nicola Piacente volevano un’altra decina di ordini di cattura per altrettanti magrebini. Il gip Silvana Petromer ha però respinto la richiesta e il gruppo rimane solo indagato.
Si conclude così un’indagine su «Pace Onlus», associazione islamica nata dalla costola di un circolo pakistano di Desio. I transfughi, quasi tutti marocchini, si erano poi trasferiti a Macherio, comune brianzolo a una ventina di chilometri a nord di Milano, dove avevano affittato un vecchio magazzino con il tempo trasformato abusivamente in un luogo di preghiera.
Animatore e fulcro del gruppo Rachid Ilhami, 31 anni, sposato con una connazionale e padre di un figlio di due che già aveva iniziato a indottrinare, tanto che il bimbo chiamava Bin Laden «zio Osama», e di uno di sei mesi chiamato direttamente Osama. Rachid, da una decina di anni in Italia, permesso di soggiorno e regolare contratto, fa il saldatore in un’azienda metalmeccanica. Dentro di lui però con il tempo matura un odio implacabile contro gli occidentali e i cristiani in genere. All’interno del circolo, riesce a reclutare una decina di teste calde, tra cui il più fanatico appare Abdelkader Ghafir, 42 anni, in Italia da metà anni ’90, verniciatore presso una società edile della zona, con moglie marocchina e due figli.
I due sognano il martirio e cercano di realizzarlo in vari modi: prima immaginando di andare a combattere in Afghanistan o Irak, poi un attacco suicida in Italia tanto «...non c’è bisogno di raggiungere l’Afghanistan per sentirsi di Al Qaida, possiamo combattere i miscredenti anche qui». Attenzione però, i due non sono organici a nessuna organizzazione terroristica, anche se in un’intercettazione Ilhami dice «Anch’io sono di Al Qaida». Sbruffonate. Si tratta piuttosto di una cellula nata per «gemmazione spontanea». Come sta già avvenendo in diversi Paesi occidentali oltre all’Italia.
Del resto per indottrinarsi e addestrarsi basta Internet. Compulsando decine di siti, i due avevano raggiunto un elevato grado di «istruzione»: conoscevano a memoria sermoni e proclami di Bin Laden e Al Zarqawi, ma anche di agitatori di più basso profilo. Si vedevano e rivedevano scene di attacchi terroristici e di ostaggi occidentali uccisi. Quanto all’«attrezzatura» c’era solo l’imbarazzo della scelta: i due avevano scaricato dalla rete decine di pagine di istruzioni su come assemblare ordigni esplosivi utilizzando materiale di facile reperimento sul mercato. Per esempio Rachid, saldatore, aveva già capito come trasformare le bombole di ossigeno della fabbrica in efficaci armi di distruzione di massa. Ma anche come far diventare un’auto o un furgone un micidiale seminatore di morte, e i possibili effetti in base alla quantità dell’esplosivo, il posizionamento e la distanza dal bersaglio.
A questo punto inizia la discussione sugli obiettivi da colpire. Semplicemente guardandosi attorno. Ecco dunque i due compiere sopralluoghi presso la stazione dei carabinieri di Giussano: «Ti volevo dire, per esempio, se io entrassi in una caserma dei carabinieri, dove ci sono 10 o 15 militari, e li terrorizzassi... ci vuole qualcosa che resti nella storia. Avrei il riconoscimento di dio e raggiungerei la grazia di dio» sproloquia al telefono Rachid. Altri obiettivi vengono individuati nella caserma «Perrucchetti» dell’esercito in centro a Milano o l’ufficio stranieri presso il III reparto Mobile, in periferia. Ma pur di gettare terrore tra i «cani infedeli» sarebbero andati bene anche i parcheggi del ristorante Mistral o della Esselunga di Seregno, da attaccare con bombe incendiarie.
Insomma il campionario dell’orrore era completo. Ilhami e Ghafir ci pensavano e ripensavo ogni sera con la loro piccola congrega di aspiranti terroristi. Ritrovo, casa di uno o casa di un altro, ma anche la stessa «Pace Onlus». Bastava aspettare che altri ignari magrebini se ne andassero, per cominciare a sognare mezza Milano avvolta nelle fiamme.
La Digos, messa in allarme da un informatore, li stava però ascoltando da un anno e mezzo.

Intercettazioni telefoniche ma anche ambientali, disseminando le auto, le case e la stessa associazione di «cimici», una delle quali viene casualmente trovata dai due aspiranti martiri. Capiscono di avere il fiato sul collo degli investigatori e cominciano a meditare una rapida fuga. Ma arrivano prima le manette degli agenti della Digos.

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