I lavoratori stranieri hanno portato in Israele «la droga», «malattie come l'epatite, la tubercolosi o l'Aids» e, se non contenuti nel numero, rischiano di intaccare «la natura sionista» del Paese. Lo ha affermato stasera in un dibattito televisivo, il ministro dell'Interno, Eli Yishai, leader del partito Shas (destra religiosa ebraica), difendendo la sua contestata linea di rigore sul tema dell'immigrazione. Nello spiegare la sua posizione draconiana a favore delle ultime norme sull'espulsione degli immigrati illegali - norme al centro di polemiche nel Paese poiché coinvolgono anche figli di clandestini nati in Israele - Yishai ha parlato di dati secondo i quali «centinaia di migliaia di lavoratori stranieri vengono qui con malattie come l'epatite, la tubercolosi, l'Aids e con la droga». Si è poi detto convinto che «nessun israeliano voglia uno o due milioni di sudanesi o di rifugiati dall'Eritrea» a costo di «mettere a rischio la natura sionista dello Stato d'Israele» e ha accusato i clandestini di usare i loro figli come «scudi umani» per ritardare l'espulsione. Parole cui ha risposto il deputato del Meretz (piccolo partito della sinistra radicale) Nitzan Horowitz, definendo il ministro «un razzista arcaico».
In Israele pende un provvedimento di rimpatrio - legato alla nuova normativa - di numerosi immigrati illegali, rinviato nei mesi scorsi dal premier Benyamin Netanyahu proprio a causa delle proteste suscitate dalla sorte dei bambini coinvolti nel provvedimento. Un caso rispetto al quale, scrive proprio stasera l'agenzia online Ynet, Netanyahu sta valutando una ulteriore dilazione, a dispetto delle posizioni di Yishai.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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