Come uno stanco crociato reduce dalle grandi battaglie, Raffaele Costa si è rintanato nel suo feudo pedemontano di Mondovì. Il ministro che piombava all’improvviso negli uffici per stanare i lavativi, il deputato che tuonò per trent’anni contro gli sprechi di Stato, oggi è semplice presidente della Provincia di Cuneo, otto ore di auto dalla Capitale, dieci di treno. Costa ha 71 anni, che sia ormai dimenticato?
Non lo è, perdinci. Arrivando al suo ufficio privato di fronte alla cattedrale di Mondovì, trovo un crocchietto familiare fermo attorno al portone. Uno spilungone di mezza età ha appena letto il nome di Costa sulla targhetta e sta spiegando ai suoi di chi si tratta.
Il turista parla eccitato, come chi si è imbattuto per caso in un pezzo di storia patria. «Era quello ganzo che faceva gli agguati negli ospedali. Ve lo ricordate? Si presentava all’improvviso per controllare l’igiene e l’efficienza dei medici. Era uno forte, lui!». Dopo un lungo istante di silenziosa ammirazione davanti alla porta chiusa, il gruppetto se ne va. Prima di girare l’angolo si volta per un ultimo sguardo alla magione dell’eroe. «Chissà se Raffaele li ha visti e se ha apprezzato la scenetta o se invece è rimasto male per tutti quegli “era”, “si presentava” che sanno di passato senza ritorno», penso mentre suono. Mi apre Costa in giubbotto e l’aria mogia.
«Sono stanchissimo», dice.
«È ora di andare in pensione», dico impietoso. «Hai fatto il deputato per trent’anni, dal ’76 all’anno scorso. Sei stato più volte ministro ed eurodeputato. Adesso, potresti accudire i tuoi adorati pappagalletti». Ne ha decine - visto con i miei occhi - a qualche chilometro da qui, nella sua villa monregalese sulla collina. Il preferito è un cocorito brasiliano che troneggia sul trespolo nel centro del salotto, dice «cerea» per salutare e fa «pronto» a ogni squillo di telefono.
«Non è questione di pensione», replica Raff senza prendersela. «C’è che finché fai il deputato, i problemi da affrontare te li scegli tu. Quando invece sei amministratore, ti arrivano addosso loro. Autorizzazioni, traffico, frane. Nel Cuneese abbiamo il record nazionale dei morti sulle strade. Mille negli ultimi dieci anni. Sabato 11 novembre facciamo nel Santuario di Vicoforte, col vescovo Pacomio (l’eminenza religiosa di Mondovì, come Costa è quella laica, ndr), una messa di suffragio. Dobbiamo migliorare la rete viaria. Fortuna che il ministro della Infrastrutture, Antonio Di Pietro, ci sta dando una buona mano».
«Tu liberale di Forza Italia ti sdilinquisci per l’ex Pm dalle manette facili. Questa è intelligenza col nemico», provoco.
«Riconosco i meriti quando ci sono», dice Costa irriconoscibile. È diventato un buono. Lui che una volta era sanamente collerico, passerà infatti il tempo dell’intervista a smussare.
Mi fa sedere al tavolo ovale del suo studio e prende posto su una specie di tronetto. Sullo schienale tiene appeso un berretto da capostazione. «Regalo dei mesi scorsi di un gruppo di ferrovieri in ricordo dei tempi in cui fui ministro dei Trasporti», dice con un pallido sorriso. Nella libreria la collezione rilegata del «Duemila», la sua rivista di denuncia degli sprechi e i diversi libri che ha scritto sullo stesso argomento: «Italia degli sprechi», «Italia dei privilegi» e, il più noto di tutti, «Il dottore è fuori stanza», sull’assenteismo nella Pubblica amministrazione, corredato di centinaia di foto di burocrati al bar, impiegate che fanno la spesa negli orari di lavoro e compagnia. Glieli indico e dico: «Gloria passata. Oggi sei superato». «Che intendi?», dice mite.
Non fare il tonto Raffaele. Ora, tutti criticano gli sprechi pubblici. Ma tu che li denunci da decenni, sei passato nel dimenticatoio.
«La gente comune mi ferma di continuo per strada e lo ricorda perfettamente. Non posso invece pretendere che gli avversari politici riconoscano la mia primogenitura».
Sul Duemila hai scritto: «Quelli che oggi piangono sugli sprechi dove erano dieci, vent’anni fa quando io li denunciavo?». Ti secca di essere oscurato?
«Al contrario. Finalmente, la situazione si è sbloccata. Di fronte alle difficoltà politiche ed economiche scatta la ricerca delle colpe».
Perché «La casta», il libro di Rizzo e Stella, va più a ruba dei tuoi che dicevano le stesse cose?
«È uscito in un momento particolarmente fortunato. La gente, frustrata nel portafoglio, si chiede: perché mai dobbiamo soffrire noi, quando ci sono strutture statali costose e improduttive?».
Negli anni ’90, quando uscirono i tuoi libri, che successe?
«La gente mi diceva, “bravo, bene”, e mi dava una pacca sulle spalle. Mi prendevano per un Quintino Sella redivivo o un Einaudi attardato. Un originale, insomma. E la cosa finiva lì».
Oggi, più che contro gli sprechi, l’opinione pubblica ce l’ha con i partiti.
«Sì, oggi è di moda. Non vorrei però che la moda nascondesse le radici del problema: la fissazione della politica di guidare la società con eccessi di regole».
È quella che chiamano l’antipolitica.
«Una certa quantità di qualunquismo, effettivamente, c’è. Ma, in complesso, la reazione non è sbagliata».
Ti piace il grillismo?
«Non mi dispiace che le reazioni vengano anche dai Beppe Grillo. È un coinvolgimento della società».
Cento persone al governo e 945 parlamentari sono uno spreco?
«Un’esagerazione. Fino al 1970, quando non c’erano ancora le Regioni, poteva andare. Ma oggi che il Paese è governato anche dalle strutture intermedie, Parlamento e governo sono pletorici».
Tu metti nel novero degli spreconi anche la Banca d’Italia.
«Oggi ha molte meno funzioni che nel passato. Ma continua ad avere un numero di funzionari e dipendenti rilevantissimo e costoso. Vale anche per il Cnel; il Csm, che si limita a difendere la categoria dei magistrati; il quasi inutile Garante per la privacy».
Lo spreco più emblematico che ti viene in mente?
«Il più pittoresco risale alla metà degli anni ’90, quando il comune di Torino spese 73 milioni di lire per un corso di arti marziali per giovani nomadi. Il più clamoroso, è che esistano ancora gli enti inutili aboliti mezzo secolo fa».
C’è una causa prima degli sprechi?
«L’esorbitante numero di leggi. Ogni legge implica nuove strutture, funzionari, sedi, autoblu. In Italia sono in vigore 66mila leggi. Contro le seimila della Francia, le ottomila della Germania, le novemila dell’Inghilterra».
Il Cav nel 2001 voleva creare un ministero della semplificazione legislativa e fare te ministro. Finì nel nulla. Chiacchierone anche lui?
«Non mi permetto. La sua era un’intenzione giusta, non tradotta in realtà. Ci fu un problema di distribuzione di poltrone tra diversi cacicchi del centrodestra, per cui rimasi fuori».
Chi ha più tendenza allo spreco, l’Unione o la Cdl?
«La sinistra è più per la spesa pubblica per ragioni ideologiche. La destra, per le stesse ragioni, è per un maggior rigore. Ma la tendenza allo spreco è ben distribuita in entrambi gli schieramenti».
Chi è lo sprecone del governo Prodi?
«Una bella gara. Con qualche eccezione. Una è D’Alema. Ho potuto vedere degli atti della Farnesina formulati con un certo rigore. La Cooperazione allo sviluppo del Terzomondo, per esempio, è gestita con più oculatezza di qualche anno fa».
Parlando del governo Prodi hai scritto sul Duemila: «Ci sono alcune figure di rilievo». Chi di grazia?
«Bersani...».
...È un bluff.
«Forse, ma preparato. Poi ci sono Giuliano Amato, Emma Bonino e Di Pietro».
Hai dimenticato il tuo corregionale Paolino Ferrero, l’amico degli immigrati illegali. Ti avverto, visto il tuo inedito buonismo, che sono ironico.
«Ferrero ha una caratteristica positiva: è coerente. Una coerenza comunista con la quale non concordo. Ma segnalo questa antica virtù dimenticata».
Tra gli sprechi italiani, la più alta bolletta energetica di tutta l’Ue. Invece di tornare al nucleare, Pecoraro si gingilla con le pale a vento.
«Sul nucleare, il discorso va riaperto. Quanto alle bollette di luce e gas occorrerebbe una verifica. E, poiché sono un uomo semplice, comincerei dai contatori. L’ho fatto, per il momento solo col gas, qui in Piemonte. Ho rilevato un danno per gli utenti dovuto all’infedeltà dei contatori. Nei prossimi giorni renderò noti i risultati della ricerca».
La tua attenzione al buon uso del denaro è vocazione spirituale, eredità familiare o naturale tirchieria?
«È un fatto di educazione familiare, ma c’entra anche la cuneesità. Siamo attenti per tradizione».
Sei sparagnino anche in famiglia?
«Ho raramente negato qualcosa a moglie e figli».
La tua rinuncia più importante?
«Non ho rinunciato a nulla, anche perché non ho mai avuto grandi ambizioni. Io ho sempre lavorato moltissimo e avuto poco tempo per il resto».
Il maggiore lusso che ti sei
concesso?«Qualche viaggio. In tutte le capitali europee e anche in Paesi lontani».
Ovviamente, mai più di tre giorni.
«Talvolta ho raggiunto i cinque. Ma non vedevo l’ora di tornare».
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