da Milano
Pittoreschi, questi francesi. Almeno nel calcio. Mai uno sgarbo, fino a quando ci hanno messo sotto. La sequenza malinconica per il nostro calcio nazionale è cominciata a Parigi nel mondiale ’98 (eliminazione ai rigori) e si è conclusa nella finale europea di Rotterdam, estate del 2000, segnata dalla beffa di Trezeguet. Da quel giorno, solo inchini e dichiarazioni mielose. Poi è arrivato il giorno del giudizio universale, a Berlino, e il mondo, per i francesi, si è capovolto all’improvviso. Loro sono rimasti sotto, noi a cavalcioni della gloria. Hanno giocato meglio i francesi, Buffon è stato decisivo, alla fine abbiamo vinto noi ai rigori, quasi una riparazione divina della precedente finale buttata via maldestramente. Succede: nel calcio esiste una geometrica compensazione. Da quella notte è successo di tutto. La testata di Zidane nell’infiammato finale, poi il tentativo di trasformare Materazzi, da vittima, in carnefice, infine la striscia degli insulti per tacere dell’infamante accusa di Domenech pagata col turno di squalifica.
Un anno fa, a Parigi, assente Materazzi (in tribuna stampa ricordato dall’indimenticabile Alberto D’Aguanno vestito con la casacca 23), ci trattarono coi guanti bianchi. Gli applausi del pubblico a Giacintone Facchetti, in campo Henry e soci ci strapazzarono a dovere. Tre sberle e tutti noi a casa a meditare sui ritardi (di condizione fisica) e sugli errori (riproposto Cassano non all’altezza, etc.). Sulla carta, sono sempre i francesi i più dotati del girone: inutile nasconderlo. A Donadoni, son venuti meno, nel tempo, e per i noti motivi, Nesta e Totti, poi Materazzi si è infortunato, Toni non è ancora pronto. Domenech ha scelto di rinunciare a Mexes e Trezeguet: al posto del romanista, che è uno dei più forti in circolazione nel suo ruolo, schiera Abidal che a Lione e a Barcellona è il guardiano dell’argine sinistro. Sotto sotto è un amico. Se poi utilizza Vieira, reduce da un insulto muscolare, e perciò non proprio tirato a lucido, è segno che punta sul fisico del corazziere interista.
E allora, per l’Italia c’è una sola grande chance. Che gli insulti dei francesi abbiano nel frattempo agito da vitamine per gli azzurri. Saranno decisive, ancora una volta, le motivazioni, più che il talento dei singoli (nel loro campo Ribery, Henry e Malouda, nel nostro Del Piero, Inzaghi e Pirlo) o la condizione fisica dei due gruppi, che pende a favore dei francesi. «Il loro campionato è alla settima giornata, è un vantaggio indiscutibile» segnala Donadoni, ieri pomeriggio a Milanello apparso in grande forma. Fulminanti un paio di battute. Una riservata a improbabili trattative col brasiliano Motta per “italianizzarlo“: «Non so chi l’abbia contattato, forse il signor Alemagna». L’altra spedita niente meno che ad Arrigo Sacchi col quale non corre buon sangue da quando l’ex ct ha definito il suo allievo «un po’ permaloso». «Vivere nello stress fa cadere i capelli» è la chiosa di Donadoni, riuscito per un pomeriggio a buttarsi alle spalle tutte le allusioni al suo destino futuro. «La sfida con la Francia non decide granché, guardiamoci alle spalle, invece di pensare a chi sta davanti» è il nuovo orientamento del Ct, rinfrancato forse dalla reazione emotiva del suo spogliatoio. Secondo tradizione, gli elogi fanno male ai calciatori italiani. Prendono cappello se provocati e messi alla berlina. Facile immaginare la risposta di guerrieri dal temperamento come Gattuso, tra l’altro per la prima volta con la maglia azzurra nel suo stadio. A Milanello, in serata, per cena, l’arrivo di Marco Materazzi significa qualcosa. «Fare teatro, se aiuta lo spettacolo calcistico, ben venga. Altrimenti è meglio evitare» la filosofia di Donadoni. Che naturalmente è pronto a stringere la mano al suo collega Domenech lingua biforcuta. ««Se non mi fa fare troppi scalini» è la battuta che garantisce sulle intenzioni cristiane del ct azzurro interessato, naturalmente a ben altro.
Inzaghi, tanto per cambiare, ha il potere di risolvere il contenzioso e non far rimpiangere Toni, tenuto buono per Kiev.
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